mercoledì 20 maggio 2015

Tratta XXXIII.6 – Cerchiamo di non essere ipocriti





[Dialogante 2]  Se le cose che ci stiamo dicendo diventassero di pubblico dominio, molti ci accuserebbero di presunzione, di incompetenza, di ideologismo. E noi avremmo ben poche armi con cui difenderci.
[Dialogante 1]  Credo che dovremmo riuscirci anche senza armi.
[Dialogante 2]  E qui che si annida l’ideologia: nell’usare il pensiero come arma…
[Dialogante 1]  … mentre non dovrebbe uscire dai propri limiti, che sono quelli di non essere null’altro che pensiero tra altri pensieri…
[Dialogante 2]  … in libera concorrenza?
[Dialogante 1]  No, tutt’al più sottoposti a selezione darwiniana, indipendente da qualsiasi ‘volontà’ concorrenziale.
[Dialogante 2]  Cerchiamo di non essere ipocriti. Anche se manca la volontà, non manca la convinzione o per lo meno qualche buona ragione per proseguire sulla strada intrapresa.
[Dialogante 1]  Direi che questo rientra ancora nella normalità di chi lavora su ipotesi e non su certezze. IMC ha lo statuto di ipotesi ma proprio in forza di esso chi l’assume è in certo qual modo tenuto a considerarla certezza fin quando non ne venga dimostrata l’inconsistenza.
[Dialogante 2]  Nel caso di IMC l’inconsistenza è dimostrata dal suo rapporto anomalo con la contraddizione, il che ci deve rendere ancora più prudenti nel proporla come strumento risolutivo delle crisi.
[Dialogante 1]  D’accordo, ma con tutte la cautela possibile dobbiamo pur sperimentarne il funzionamento che oltretutto, come sappiamo, non modifica la culturalità degli oggetti cui si applica, ma la porta a consapevolezza, nel contempo relativizzandola.
[Dialogante 2]  Semmai è proprio quest’ultimo punto, la ‘relativizzazione’ che incontrerà le maggiori difficoltà. IMC cominci con il relativizzare se stessa.
[Dialogante 1]  Già fatto. Provvedono ora gli altri assoluti a fare lo stesso.
[Dialogante 2]  Una trappola?
[Dialogante 1]  Veda un po’ il lettore.


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