venerdì 22 febbraio 2013

Ancora diciannove riflessioni su politica, potere, formazione (xix)



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 Ma –mi sento di dire e mi dico io stesso– se nessuna forma di governo, neppure la democrazia o la meritocrazia ti vanno bene, come pensi vadano governati i 7 miliardi di individui che popolano oggi la Terra (e che tra breve saranno 8, 9…)? E che in qualche modo vadano governati, non essendo pensabile che lo facciano da soli, magari ciascuno per proprio conto…

Certo, qualche passo in direzione dell’autogoverno e di una maggiore responsabilità personale e collettiva nella gestione delle cose di questo mondo lo si dovrebbe pure fare, dubito però che questi passi possano risolvere il problema della nostra sopravvivenza, che noi stessi giorno per giorno non facciamo che aggravare. Non credo infatti, stando a ciò che vediamo accadere da migliaia di anni, che la specie umana sia a tal punto perfettibile da raggiungere, nei pochi decenni che il processo tecnologico ci concede, quel grado di perfezione che la sopravvivenza richiede. È, credo, più saggio, anziché inseguire un’inafferrabile perfezione, contentarci dell’instabilità che da sempre ci appartiene e che, bene o male, abbiamo imparato a gestire. In altre parole, quale che sia il fondamento che intendiamo dare alla nostra società, manteniamo la disponibilità al cambiamento, unica garanzia di stabilità. Il meccanismo ci è ben noto da ciò che vediamo in natura, dove legge universale sembra essere la trasformazione.

Tornando quindi al problema della forma di governo più idonea ai miliardi di nostri conterranei (in senso astronomico), ritengo pericoloso ogni tentativo di bloccare su un’unica scelta la pluralità delle alternative in gioco. A questa apertura al molteplice virtuale penso però sia necessario associare la consapevolezza di una scelta contingente ma vincolante nella misura in cui si conservano le condizioni che l’hanno determinata. Quest’ultima precisazione lega in qualche modo una contingenza a una stabilità procedurale. E questo spero valga a tranquillizzare i timorosi (come me) della precarietà.

Fine delle 19 riflessioni su politica, potere, formazione.

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