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La sostituzione di
una parola con un’altra non procura in genere grandi difficoltà. Altra cosa è
sostituire una procedura a cui per giunta eravamo legati per tradizione. Qui si
tratta addirittura di sostituire il meccanismo stesso della tradizione,
l’accumulo additivo, con un processo trasformazionale continuo, non più a stati
finiti. Per chi è abituato ad ancorarsi a punti fermi, ad articoli di fede,
l’improvviso ritrovarsi sul terreno mobile di un relativismo pur mitigato da
IMC genera naturali reazioni che non possono essere semplicemente accantonate,
anche perché sono inizialmente ben più forti che non le spinte innovatrici,
avvertite come destabilizzanti e pericolose, mentre non sono che la premessa di
una diversa stabilità fondata sul divenire.
Occorre quindi
studiare una metodologia formativa adeguata a questa trasformazione, una
metodologia che ci faccia transitare senza scosse dall’era dei punti fermi,
delle ideologie e dei principi a una delle ipotesi, della mobilità e del
pensiero, della relatività del vero, in breve all’era metaculturale. È una
trasformazione in atto già da tempo, forse fin da quando Homo sapiens si è separato come specie dal ceppo degli ominidi, ma
sembra che solo ora cominciamo a capire il tipo di pensiero che essa comporta.
E le resistenze sono ancora fortissime: evidentemente i vantaggi prodotti dal
pensiero culturale erano e sono tali da rendere assai difficile il suo
superamento. Prevale il timore che la sua perdita ci destabilizzi
irrimediabilmente, quando è vero piuttosto il contrario, come recita l’antica
parabola della quercia e della canna. Anche la perdita delle certezze newtoniane non sembra davvero avere indebolito il pensiero
scientifico. Grazie ai passi compiuti tra la fine dell’Ottocento e i primi
decenni del Novecento la scienza ha conosciuto una sorta di stabilizzazione che
si è rivelata assai più efficace della precedente. Questa però, a ormai un
secolo dal suo proporsi è ancora osteggiata politicamente dal persistere delle
ideologie e soprattutto delle religioni, che sono incapaci di riconoscersi nel
nuovo corso, il quale, se qualcosa destabilizza, è l’idea stessa del ‘potere’.
È opinione del tutto comprensibile che chi il potere ce l’ha, anche se
permanentemente insidiato da altro potere, non sia disposto a vederlo dissolversi
ai primi raggi di un nuovo sole.
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