mercoledì 20 febbraio 2013

Ancora diciannove riflessioni su politica, potere, formazione (xvii)


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Ingiustizia della meritocrazia

È da quando è in vigore la scuola dell’obbligo che si è avvertita la necessità democratica di una scuola non discriminante né per censo né per opportunità. Questo come reazione a una visione elitaria della società, che interpretava la cultura –soprattutto certi modelli culturali– come fattori di privilegio, riservato alle ‘classi alte’. Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, ideologicamente dominati dall’immagine politica della Resistenza, la democratizzazione della scuola ha compiuto alcuni dei suoi passi avanti fino verso la fine degli anni Settanta, dopodiché ha avuto inizio un lento movimento di riflesso con la rivalutazione della scuola privata, in Italia gestita soprattutto dalla Chiesa. Come correttivo di questo spostamento ‘a destra’ la classe politica –tutta, compresa la sinistra– ha riportato in auge la meritocrazia, già efficacemente analizzata e criticata precedentemente in ambito marxista.

La specie umana ha evidentemente ricevuto in dono dall’evoluzione la memoria corta, perché ha visto improvvisamente rinverdire argomenti che già negli anni Cinquanta avevo considerato logicamente e politicamente indifendibili. Ne riporto qui alcuni che mi sembrano a tutt’oggi validi.
·       Il merito non è disgiunto dall’avere, il figlio di un noto avvocato potrà beneficiare dello studio paterno oltreché della notorietà famigliare.
·       È molto probabile che sia facilitato negli studi un ragazzo cresciuto in un ambiente universitario o provvisto di una nutrita biblioteca.
·       Genitori abbienti spendono in genere per l’educazione dei figli più di un addetto all’ufficio postale.
·       Mozart avrebbe faticato molto di più ad essere Mozart se non fosse stato figlio di Leopold.
·       La famiglia Bach era una garanzia.
·       Non sono tanto i meriti acquisiti da te a farti fare strada, quanto quelli acquisiti da tuo padre.
·       Ha fatto un decisivo salto di qualità con la morte dello zio miliardario.
·       A scuola era rimasto indietro fin quando il padre non gliela comprò.
·       Era sempre stato il primo della classe fin quando la scuola non venne comprata dal padre dell’ultimo.
Come si fa a credere nella meritocrazia?
Vediamo ancora.
Schubert aveva indubbiamente ciò che si dice una eccezionale vena melodica. Non solo le sue melodie fiorivano con una naturalezza e spontaneità come se fossero esistite da sempre, eppure ognuna di esse è di una irripetuta originalità. Pensate che gli vadano riconosciuti dei meriti per questo?
È risaputo che Picasso aveva un tratto grafico di straordinaria sicurezza. Ne aveva anche il merito?
Einstein, dietro un irrisolto problema scientifico, sapeva individuare l’inedito ‘stile di pensiero’ che l’avrebbe risolto. Sia lode al merito!
‘Ma come!’ –potrebbe dire qualcuno– Costoro già erano stati favoriti dalla sorte per aver ricevuto in dono una genialità che nessuno studio avrebbe mai potuto produrre, e noi dovremmo in sovrappiù […] anche il merito?
“Sì, perché a beneficiare di quella genialità siamo anche noi.”
“D’accordo, vuol dire che parte di quel dono è toccato ad altri. Ma dove sta il merito?”
“Nel lavoro che da un dono ha tratto un beneficio per tutti.”
“Quindi il merito va al lavoro compiuto e non al beneficio procurato.”
“È un modo di ragionare moralistico. Certo, quel lavoro avrebbe potuto essere compiuto solo a vantaggio proprio, ma probabilmente la soddisfazione per un vantaggio condiviso è maggiore, quasi un secondo regalo aggiunto al primo.”
“E quindi, secondo te, l’unico modo per trasformare in ‘merito’ un dono ricevuto è di non farne uso o di non riconoscerlo come un ‘dono’ e quindi neppure come motivo di gratitudine.”
“Sì, non fosse altro per la scarsa simpatia che provo per la ‘gratitudine’”.
“Sei tutto strano! Non dovremmo riconoscere alcun merito a Schubert, Picasso ed Einstein per tutto quel che hanno donato al mondo, e neppure essergliene grati. E che ci guadagniamo pensando a questo modo?”
“Ma perché dovremmo guadagnarci? Non basta che non ci perdiamo? O che ci guadagniamo per aver perso di ipocrisia?”
“Io però non riesco a fare a meno di questa ipocrisia.”

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