lunedì 25 giugno 2012

Odi et amo

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Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

(Odio e amo. Forse vuoi sapere perché lo faccio.
Non so, ma sento che accade e mi torturo.)

Il verso latino e la concisione raggiungono in questo distico un vertice di immediatezza forse insuperato. Talvolta immaginiamo il poeta come un tecnico della diversificazione, talaltra come una voce che esprimere l’inesprimibile. Catullo fa l’una e l’altra cosa insieme. Letterato finissimo nei poemetti alessandrineggianti, Catullo effonde la sua vena poetica in brevi componimenti di tono popolare, spesso scurrile, che ai nostri orecchi suonano estremamente attuali. La sua sboccata invettiva ce lo rendono un personaggio che ci sembra di poter incontrare per strada, in un circolo giovanile (Catullo è morto poco più che trentenne), al mercato. L’immediatezza del suo linguaggio ci fa dimenticare la distanza che ci separa da lui nel tempo e nella collocazione culturale. Tra i massimi esponenti della latinità, poeta tra i più amati del suo tempo, continua a parlarci con la familiarità del vicino di casa e con la passionalità di un ragazzo innamorato. Se mai la poesia è stata espressione di verità vissuta, questo è il caso di Catullo, e la sua verità non è diversa dalla nostra…
Ma noi, perché cerchiamo nella parola un altro –forse pure un poeta– la ‘verità’? Non ci basta una ‘finzione di verità’? Anzi non è piuttosto quest’ultima che ci attira soprattutto? Se le invettive o i lamenti di Catullo non fossero espressi in forme letterariamente irreprensibili, pensate che ce ne occuperemo ancora dopo più di duemila anni? Reciprocamente, se avessimo davanti solo forme letterariamente irreprensibili, pensate che supererebbero i confini di un esercizio di traduzione?
È chiaro: ci vogliono ambedue, verità e artificio!
Ma come misuriamo l’una e l’altro?
Se la verità è male espressa, non le concediamo la nostra fiducia, e se l’artificio e ben congegnato, non lo distinguiamo dalla verità. Essenziale sembra sia quindi, non tanto la verità della parola quanto l’artificio che la rende vera, sia che lo sia, sia che no.

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