lunedì 4 giugno 2012

Don Chisciotte

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Non credo di dir niente di stravagante affermando che il Don Chisciotte appartiene alla Weltliteratur, per usare del termine goethiano. Parlo inoltre per sentito dire, poiché, non essendo un buon lettore, non conosco un numero sufficiente di opere così qualificabili, e di conseguenza il mio parere varrebbe poco o nulla se non fosse confortato da voci ben più autorevoli. Per la verità, ora che lo sto rileggendo, mi importa sempre meno di altre ‘autorevolezze’, bastandomi quella sua, di Miguel de Cervantes Saavedra.

In che senso un postino sul Don Chisciotte rientra tra questi del come se? Dicendo ‘come se’ il parlante istituisce un secondo piano di comunicazione legato al piano principale da un rapporto di analogia se non di omologia. I due piani si rinforzano a vicenda e spesso costituiscono un espediente retorico di grande efficacia, soprattutto se il secondo piano, quello metaforico, è rappresentato da elementi che nulla hanno a che fare con quelli del primo piano fuorché nel rapporto di omologia (o analogia). Anche il Don Chisciotte si dispone su più piani, crea anzi più mondi paralleli, simile in questo a certi modelli della fisica di oggi, per cui la ‘realtà’ non è monoplanare come nei modelli più o meno tradizionali della fisica ‘classica’, ma multiplanare, consistente cioè di più mondi paralleli ma non comunicanti tra loro. La realtà di Don Chisciotte non è quella della nostra quotidianità, ma quella di una quotidianità leggendaria, fiabesca, filtrata attraverso una cultura che ha perso la sua, se mai l’ha avuta. E non è la quotidianità del poeta, in cui quello si rifugia, al riparo dalla sgradevolezza del reale, perché Don Chisciotte, quella sgradevolezza, nonché evitarla, se la tira addosso in quantità difficilmente sopportabile se non fosse per la sua follia cavalleresca. Quanto siamo lontani dall’Es war als del romantico Eichendorff, la cui irrealtà galleggia, altrettanto fiabesca, in una notte di luna. Cervantes non è un romantico –la cultura del suo tempo non glielo avrebbe permesso–, e quindi anche il suo Don Chisciotte non può esserlo. Eppure dalle pagine del grande libro spira un’aria di innocente candore che raggiunge anche la popolaresca, prosaica presenza di Sancho Panza; e, vorrei dire, perfino la brutalità impietosa della quotidianità reale, che Cervantes riveste sapientemente di una comicità che la raccorda alle stravaganze del protagonista.

Abbiamo così, per il romanzo, una struttura portante a tre piani: Don Chisciotte, Sancho Panza, il mondo reale, una sorta di contrappunto a tre, del quale Cervantes è padrone assoluto. Come reagisce il lettore moderno a questa prova di abilità, a questo intreccio di piani, ciascuno dei quali portatori di una sua ‘verità’?

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