martedì 12 giugno 2012

Come le foglie che nel tempo

[397]
Teatro greco a Dodona

Come le foglie che nel tempo

fiorito della primavera nascono

e ai raggi del sole rapide crescono,

noi simili a quelle per un attimo
abbiamo diletto del fiore dell'età,

ignorando il bene e il male per dono dei Celesti.

Ma le nere dee ci stanno a fianco,

l'una con il segno della grave vecchiaia
 
e l'altra della morte. Fulmineo
precipita il frutto di giovinezza,

come la luce d'un giorno sulla terra.

E quando il suo tempo è dileguato

è meglio la morte che la vita.

Da quanto mi risulta –e non sono del tutto disinformato in materia–, pochi sono oggi i ragazzi che hanno in mente, vuoi nell’originale o, come qui, in traduzione, questi versi di Mimnermo o i molti passi della poesia greca o latina che per noi giovani ‘di buona famiglia’, erano pasto quotidiano. Pasto, per molti già allora indigesto, per altri più o meno tollerato. E anche se la tolleranza era buona, non era affatto chiaro perché ci dovessero interessare i frutti personali di gente vissuta più di due millenni fa. Specialmente quando questi frutti venivano raccontati in un linguaggio palesemente artificioso e improbabile. E infatti la gran parte di ciò che era penetrato nella nostra mente nel giro di pochi anni ne usciva per non farvi più ritorno. Così per esempio il greco, che linguisticamente ci era più lontano dal latino, l’ho dimenticato quasi del tutto, e oggi me ne dispiace. Come mai mi dispiace, visto che di quel poco che era rimasto, non ho più avuto occasione di servirmi in tutti questi anni?
È possibile che alcune cose giacciano inerti nelle nostre menti finché un evento fortuito non le faccia riemergere e solo allora ci accorgiamo di averle avute, anzi di averle ancora, seppure corrose dal disuso. E, quasi d’improvviso, scopriamo quanto la loro occulta permanenza abbia modellato il nostro pensiero e il nostro agire senza che ce ne rendessimo conto. Questo mi è capitato nei miei tardi anni, e molte cose che avevo reputate inutili nella vita attiva si sono rivelate essenziali per sostenere l’inattività degli anni successivi. Se non fosse che per questo, le ore passate a decifrare e capire i ‘classici’ penso siano state tra le più fruttuose della mia vita e mi permettono di vivere oggi la mia inattività come una ricchezza che finalmente può rientrare in circolo, per esempio attraverso questi ‘postini’.
Il costante innalzamento della vita media lascerà alle future generazioni –purché l’attuale lo permetta– sempre più tempo da trascorrere in vecchiaia, ed è abbastanza strano che di questo problema la scuola non si voglia occupare. La vita materialmente produttiva si fa, al contrario della vita media, progressivamente accorciando: da un lato il tempo della formazione tende a invadere la maturità dell’individuo, dall’altro la crescita dell’automazione e dell’azione virtuale toglie terreno alla vita attiva e libera tempo per una corrosiva inerzia… e la scuola, la società fanno poco o niente per affrontare questo che è forse il più grave problema sociale dei nostri giorni. Ci preparano per una vita attiva di sì e no una trentina di anni, lasciandoci a noi stessi per un’altra trentina. Più che ai suoi tempi Mimnermo avrebbe oggi ragione per piangere. Sarebbe però forse meglio se, anziché piangere, si desse da fare perché anche l’inerzia del vecchio diventi produttiva.

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