Teatro greco a Dodona
Come le foglie che
nel tempo
fiorito della
primavera nascono
e ai raggi del sole
rapide crescono,
noi simili a quelle
per un attimo
abbiamo diletto del
fiore dell'età,
ignorando il bene e
il male per dono dei Celesti.
Ma le nere dee ci
stanno a fianco,
l'una con il segno
della grave vecchiaia
e l'altra della
morte. Fulmineo
precipita il frutto
di giovinezza,
come la luce d'un
giorno sulla terra.
E quando il suo
tempo è dileguato
è meglio la morte
che la vita.
Da quanto mi risulta –e non
sono del tutto disinformato in materia–, pochi sono oggi i ragazzi che hanno
in mente, vuoi nell’originale o, come qui, in traduzione, questi versi di
Mimnermo o i molti passi della poesia greca o latina che per noi giovani ‘di
buona famiglia’, erano pasto quotidiano. Pasto, per molti già allora
indigesto, per altri più o meno tollerato. E anche se la tolleranza era
buona, non era affatto chiaro perché ci dovessero interessare i frutti
personali di gente vissuta più di due millenni fa. Specialmente quando questi
frutti venivano raccontati in un linguaggio palesemente artificioso e
improbabile. E infatti la gran parte di ciò che era penetrato nella nostra
mente nel giro di pochi anni ne usciva per non farvi più ritorno. Così per
esempio il greco, che linguisticamente ci era più lontano dal latino, l’ho
dimenticato quasi del tutto, e oggi me ne dispiace. Come mai mi dispiace,
visto che di quel poco che era rimasto, non ho più avuto occasione di
servirmi in tutti questi anni?
È possibile che alcune cose
giacciano inerti nelle nostre menti finché un evento fortuito non le faccia
riemergere e solo allora ci accorgiamo di averle avute, anzi di averle
ancora, seppure corrose dal disuso. E, quasi d’improvviso, scopriamo quanto
la loro occulta permanenza abbia modellato il nostro pensiero e il nostro
agire senza che ce ne rendessimo conto. Questo mi è capitato nei miei tardi
anni, e molte cose che avevo reputate inutili nella vita attiva si sono
rivelate essenziali per sostenere l’inattività degli anni successivi. Se non
fosse che per questo, le ore passate a decifrare e capire i ‘classici’ penso
siano state tra le più fruttuose della mia vita e mi permettono di vivere
oggi la mia inattività come una ricchezza che finalmente può rientrare in
circolo, per esempio attraverso questi ‘postini’.
Il costante innalzamento della
vita media lascerà alle future generazioni –purché l’attuale lo permetta–
sempre più tempo da trascorrere in vecchiaia, ed è abbastanza strano che di
questo problema la scuola non si voglia occupare. La vita materialmente
produttiva si fa, al contrario della vita media, progressivamente
accorciando: da un lato il tempo della formazione tende a invadere la
maturità dell’individuo, dall’altro la crescita dell’automazione e
dell’azione virtuale toglie terreno alla vita attiva e libera tempo per una
corrosiva inerzia… e la scuola, la società fanno poco o niente per affrontare
questo che è forse il più grave problema sociale dei nostri giorni. Ci
preparano per una vita attiva di sì e no una trentina di anni, lasciandoci a
noi stessi per un’altra trentina. Più che ai suoi tempi Mimnermo avrebbe oggi
ragione per piangere. Sarebbe però forse meglio se, anziché piangere, si
desse da fare perché anche l’inerzia del vecchio diventi produttiva.
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