Ho ‘scoperto’ Jorge Luis Borges
piuttosto tardivamente – verso la fine degli anni Sessanta. La prima reazione
all’indimenticabile lettura di Ficciones
fu musicale. È dal 1970 la compilazione della raccolta di brevi composizioni
pianistiche intitolata Inquisizioni musicali. Studi ed esercizi di archeologia
sperimentale con alcuni contributi alla restituzione di testi inesistenti e
un’appendice di 15 finzioni per violoncello solo, raccolta di dichiarata
ispirazione borgesiana nel suo essere insieme testo ed esegesi del testo.
Parimenti borgesiana è la quasi contemporanea stesura –questa volta verbale–
degli aforismi di Musica-Società, il mio primo tentativo in campo
filosofico-letterario. Negli anni seguenti il grande modello, senza essere
citato come in precedenza (anche Musica-Società recava il
sottotitolo di Inquisizioni Musicali II), ha continuato ad agire
sotterraneamente nella mia attività compositiva, per esempio nella rinuncia
all’invenzione primaria –che peraltro in Borges non è mai assente– in favore
di rivisitazioni di grammatiche e stili storici. Operazioni del genere non
erano certo una novità, neppure per i musicisti: Berio nella sua Sinfonia del 1966 riutilizza un intero
tempo di una sinfonia di Mahler, Strawinsky già da anni propone incursioni in
territori altrui, anche se le fa precedere da un impietoso lavoro di
destorificazione, quasi a restituire a un materiale indelebilmente segnato
dalla storia un’originaria, verginale in contaminazione, o anche per
sperimentare un modo di comporre, come si disse, ‘al quadrato’, il cui materiale
di base non fossero più i suoni in quanto tali, ma in quanto vocaboli di una
lingua morta. Nel caso mio penso che non si trattasse di acquiescenza a una
moda incipiente e neppure della ripresa di modi strawinskiani – quelli che
erano stati dominanti nella mia produzione giovanile (fino al 1957).
Frattanto la mia nuova attività di ‘operatore culturale di base’ mi aveva
portato a scrivere per la scuola primaria una serie di Storielle (Il lago delle storie riflesse,
1984), ognuna delle quali derivata da noti modelli letterari, tra cui
nuovamente Borges. È un ‘Borges’ formato ridotto, destinato a lettori appena
usciti dall’infanzia, di conseguenza assai meno complessi e soprattutto meno
impegnati letterariamente. Qualche anno dopo –siamo già ai primi del 2000–
ecco ancora l’ombra, a un tempo imponente e rassicurante, di Borges su un
gruppo di opere –Metaparole, Parabole, Epistole politiche, e
ora questi Postini– opere tutte costituite di testi brevi o brevissimi
(in media poco più lunghi delle Storielle),
questa volta però destinate a lettori adulti e non di rado trattanti
argomenti di problematica attualità. Certo –fuorché in alcune Parabole–
l’esecuzione si è staccata dal modello, non però per inseguire un’originalità
di cui mi è sempre importato poco, bensì nella consapevolezza di non avere né
le conoscenze nell’ampiezza di sguardo di quel grande, ma soprattutto di
vivere in tutt’altre condizioni culturali. Forse mi sarebbe piaciuto –non lo
nego– vivere in una situazione, come la sua, di splendido isolamento, al
servizio, non della letteratura universale, ma di una musica, forse non più
universale (credo che non si possano, nell’era del pop e del rock, pensare
musicalmente in termini mahleriani e neppure più darmstadtiani) ma
sufficientemente informativa da soddisfare le esigenze di chi ha vissuto
altre stagioni.
………
Questo doveva esser un
‘postino’ su Borges e ha finito per esserlo su di me. Non è che ho ceduto a
una tentazione che non mi appartiene. È semplicemente che mi è risultato
assai più semplice parlare di me anziché di Lui.
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mercoledì 6 giugno 2012
Ficciones
[395]
Chiavi di lettura:
Letteratura con intenzione,
Postini,
Postini del 'come se'
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