mercoledì 6 giugno 2012

Ficciones

[395]

Ho ‘scoperto’ Jorge Luis Borges piuttosto tardivamente – verso la fine degli anni Sessanta. La prima reazione all’indimenticabile lettura di Ficciones fu musicale. È dal 1970 la compilazione della raccolta di brevi composizioni pianistiche intitolata Inquisizioni musicali. Studi ed esercizi di archeologia sperimentale con alcuni contributi alla restituzione di testi inesistenti e un’appendice di 15 finzioni per violoncello solo, raccolta di dichiarata ispirazione borgesiana nel suo essere insieme testo ed esegesi del testo. Parimenti borgesiana è la quasi contemporanea stesura –questa volta verbale– degli aforismi di Musica-Società, il mio primo tentativo in campo filosofico-letterario. Negli anni seguenti il grande modello, senza essere citato come in precedenza (anche Musica-Società recava il sottotitolo di Inquisizioni Musicali II), ha continuato ad agire sotterraneamente nella mia attività compositiva, per esempio nella rinuncia all’invenzione primaria –che peraltro in Borges non è mai assente– in favore di rivisitazioni di grammatiche e stili storici. Operazioni del genere non erano certo una novità, neppure per i musicisti: Berio nella sua Sinfonia del 1966 riutilizza un intero tempo di una sinfonia di Mahler, Strawinsky già da anni propone incursioni in territori altrui, anche se le fa precedere da un impietoso lavoro di destorificazione, quasi a restituire a un materiale indelebilmente segnato dalla storia un’originaria, verginale in contaminazione, o anche per sperimentare un modo di comporre, come si disse, ‘al quadrato’, il cui materiale di base non fossero più i suoni in quanto tali, ma in quanto vocaboli di una lingua morta. Nel caso mio penso che non si trattasse di acquiescenza a una moda incipiente e neppure della ripresa di modi strawinskiani – quelli che erano stati dominanti nella mia produzione giovanile (fino al 1957). Frattanto la mia nuova attività di ‘operatore culturale di base’ mi aveva portato a scrivere per la scuola primaria una serie di Storielle (Il lago delle storie riflesse, 1984), ognuna delle quali derivata da noti modelli letterari, tra cui nuovamente Borges. È un ‘Borges’ formato ridotto, destinato a lettori appena usciti dall’infanzia, di conseguenza assai meno complessi e soprattutto meno impegnati letterariamente. Qualche anno dopo –siamo già ai primi del 2000– ecco ancora l’ombra, a un tempo imponente e rassicurante, di Borges su un gruppo di opere –Metaparole, Parabole, Epistole politiche, e ora questi Postini– opere tutte costituite di testi brevi o brevissimi (in media poco più lunghi delle Storielle), questa volta però destinate a lettori adulti e non di rado trattanti argomenti di problematica attualità. Certo –fuorché in alcune Parabole– l’esecuzione si è staccata dal modello, non però per inseguire un’originalità di cui mi è sempre importato poco, bensì nella consapevolezza di non avere né le conoscenze nell’ampiezza di sguardo di quel grande, ma soprattutto di vivere in tutt’altre condizioni culturali. Forse mi sarebbe piaciuto –non lo nego– vivere in una situazione, come la sua, di splendido isolamento, al servizio, non della letteratura universale, ma di una musica, forse non più universale (credo che non si possano, nell’era del pop e del rock, pensare musicalmente in termini mahleriani e neppure più darmstadtiani) ma sufficientemente informativa da soddisfare le esigenze di chi ha vissuto altre stagioni.
………
Questo doveva esser un ‘postino’ su Borges e ha finito per esserlo su di me. Non è che ho ceduto a una tentazione che non mi appartiene. È semplicemente che mi è risultato assai più semplice parlare di me anziché di Lui.

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