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Si sta come / d’autunno
sugli alberi / le foglie.
Per molti la personalità poetica di Ungaretti è legata alla sua produzione giovanile, in particolare a L’allegria, scritta negli anni della Grande Guerra.
I versi sopra riportati non mostrano tuttavia alcuna caratteristica che li differenzi da una normale coppia di settenari. Anche la metafora della precarietà non è particolarmente audace. Semmai colpisce la dolcezza dell’immagine autunnale a esprimere la crudezza della guerra, ma neppure quest’opposizione è ignota ai classici.
Anche il verso più citato di Ungaretti:
“M’illumino d’immenso”,
indubbiamente assai felice nel condensare in brevissimo spazio un’impressione di infinito, non mi sembra spalancare le porte della poesia italiana a impensate avventure letterarie. Come ogni novità, anche quella dell’impressionismo ungarettianno, per essere colta nella sua singolarità va riferita al suo UCL – in questo caso alla tradizione pascoliana, crepuscolare di quegli anni
Non sono un critico letterario e tanto meno un approfondito conoscitore della lirica italiana; la mia preferita tra le poesie di Ungaretti è tuttavia:
In Memoria
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse
Non so se a commuovermi tuttora sono i frantumati versi di Ungaretti o il loro contenuto, oggi, nell’era delle grandi migrazioni, delle disperazioni di massa, di Sarkozy e della Lega.
venerdì 8 giugno 2012
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