giovedì 21 giugno 2012

Chloe


[398]
Un signore di età matura osserva una ragazzina saltellargli intorno. Un po’ lo cerca, un po’ lo evita con la inconsapevole malizia dei suoi anni. Ne ha infatti dodici o tredici; le sue movenze sono quelle di un cerbiatto che insegue la timida madre per le balze sabbiose, impaurito da ogni stormir di fronda. Ma il signore non sembra avere cattive intenzioni: non è una tigre feroce né un getulo leone pronto a sbranarla. È solo un poeta in vena di scrivere eleganti versi e lei non ha nulla da temere. Lasci quindi la madre, tanto più che è ormai ragazza da marito.
L’ultima esortazione:
tandem desine matrem
tempestiva sequi viro.
non è tuttavia del tutto rassicurante. Orazio gioca qui con improvviso mutamento di tono; dall’innocente immagine del cerbiatto al riconoscimento di uno stato di cose: il cerbiatto è ormai una ragazza da farci all’amore. E in questa brusca virata verso la realtà sta forse la trovata poetica che cambia d’un colpo la prospettiva di questa piccola ma straordinaria poesia: sì,  ora la ragazza ha davvero ragione di temere, ma di se stessa.

Vitas hinnuleo me similis, Chloe,
quaerenti pavidam montibus aviis
matrem non sine vano
aurarum et siluae metu.

Nam seu mobilibus veris inhorruit
adventus foliis seu virides rubum
dimovere lacertae,
et corde et genibus tremit.

Atqui non ego te tigris ut aspera
Gaetulusve leo frangere persequor:
tandem desine matrem
tempestiva sequi viro.

(Mi sfuggi, Cloe come un cerbiatto /  che per i monti impervii / cerchi la madre vanamente impaurita / dallo stormire della fronda // Se infatti l’arrivo della primavera / scuote le foglie o un verde ramarro s’agita tra i rovi / le tremano cuore e ginocchia. // Eppure non t’inseguo per sbranarti / come una tigre feroce o un leone di Getulia, / lascia finalmente tua madre / ora che sei buona per un uomo.)

 Da qualche anno ho ripreso, con l’aiuto di un traduttore, le letture abituali ai tempi del liceo, non più incalzato dagli obblighi scolastici, ma per semplice diletto, e posso dire che di questo diletto non ringrazierò mai abbastanza le circostanze che me lo hanno concesso; il ‘tempo libero’, di cui oggi ho abbondanza, ma più ancora la scuola, che ha ampiamente compensato i dispiaceri di allora con il piacere che i medesimi oggetti mi procurano oggi. Temo che per un ragazzo dell’era dei telefonini e dei computer sia quasi impensabile un pomeriggio passato in poltrona a leggere Orazio. Lo stesso ragazzo potrebbe obbiettarmi che internet è assai più divertente e anche istruttivo di Orazio perché vi si legge l’enorme ricchezza accumulata in altri duemila anni di storia dell’umanità. E potrebbe anche avere ragione. Per sincerarsene gli consiglierei di chiudere per qualche ora suoi apparecchi –che anch’io posseggo– e di aprire le Odi di Orazio…
Ma già, lui non sa il latino…

Nessun commento: