sabato 25 ottobre 2014

Tratta XX.3 (vi) – Ricchezza



 [Dialogante 1]  “È più facile che un cammello…” con quel che segue , anche se –come mi è stato detto– si tratta di una traduzione errata. Fatto sta che le religioni aversano in genere la ricchezza, forse –dicono i maligni– perché vogliono tenerla tutta per sé.
[Dialogante 2]  Anche la morale corrente guarda con sospetto la ricchezza, soprattutto se la vede in tasca d’altri.
[Dialogante 1]  Per non parlare poi della giustizia, che vi vede un ottimo terreno d’indagine.
[Dialogante 2]  Come mai allora la ricchezza sembra essere in cima ai desideri umani?
[Dialogante 1]  Semplice, la ricchezza è l’equivalente di ogni desiderio. Il ricco ha a sua disposizione l’universo del desiderabile, al punto che non val più la pena desiderarlo.
[Dialogante 2]  Basta la ricchezza in sé, che in alcuni casi assume l’aspetto di un incubo e diventa un’ossessione.
[Dialogante 1]  Quindi non da neppure il piacere che promette quando non v’è.
[Dialogante 2]  Se poi si considera che la ricchezza, quale può darla la finitezza del nostro pianeta, si riequilibra con la povertà in qualche altra parte, non è da meravigliarsi se c’è chi la considera come un furto.
[Dialogante 1]  Talvolta capita anche a me di considerare ‘ladro’ chi ha troppo, ma dove comincia il troppo? Mi guardo intorno nella mia casa di benestante: e se avessi già oltrepassato il confine? Appartenessi anch’io alla categoria dei ladri?
[Dialogante 2]  Probabilmente vi apparteniamo tutti il che annulla la categoria.
[Dialogante 1]  Inoltre non la metterei sul moralistico.
[Dialogante 2]  Domandiamoci piuttosto: così come siamo, siamo eco- o sociocompatibili? E la domanda che Kant, mutatis mutandis, poneva a fondamento della morale?

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