[Dialogante 2] Ogni
movimento che non sia eterno ha un punto di arrivo.
[Dialogante 1] Chi potrà
dubitarne?
[Dialogante 2] Noi non
siamo eterni.
[Dialogante 1] Chi potrà
dubitarne?
[Dialogante 2] I nostri
movimenti non sono eterni.
[Dialogante 1] Chi potrà
dubitarne?
[Dialogante 2] Ma che fai:
socrateggi?
[Dialogante 1] A dire il
vero sei tu che socrateggi, io non faccio che rispondere di conseguenza.
[Dialogante 2] È una nostra
abitudine: cominciare dall’ovvio, per poi perderci nell’indistinto. Ma lasciaci
continuare ancora per un poco.
[Dialogante 1] D’accordo,
continua pure, se ti diverte.
[Dialogante 2] Non è che mi
diverte, è il destino di tutte le ovvietà. Considera che tutta la matematica è
un ‘ovvietà’, eppure ti sfido a inseguirla nei suoi più remoti recessi, là dove
l’indistinto regna sereno.
[Dialogante 1] Esiste, è
pensabile una matematica dell’indistinto?
[Dialogante 2] Non sono un
competente, ma credo che per molte persone, me compreso, l’indistinto
matematico comincia assai presso, poco dopo le quattro operazioni dell’aritmetica,
Già ad alcuni teoremi dell’algebra partecipa per me più la fede che la ragione.
[Dialogante 1] Allora per
te la matematica ha il suo posto dietro la religione: per raggiungere questa,
ci dicono i teorici della (nostra) religione, ci vogliono fides et ratio, per l’altro –la matematica– basta la fides…
[Dialogante 2] … garantita
però dalla ratio dei matematici.
[Dialogante 1] Detto
altrimenti: fides nella ratio…
[Dialogante 2] … ma non
certo ratio della fides, che proprio per la sua
complementarietà a ratio, non è
razionale essa stessa. Quindi stiamo applicando uno strumento non razionale –la
fides– alla ratio per giustificarla agli occhi della ragione.
[Dialogante 1] C.d.d, come
dovevasi dimostrare: siamo partiti dall’ovvio e ci siamo persi nell’indistinto.
[Dialogante 2] … grazie
però al cammino suggeritoci dalla religione.
[Dialogante 1] Pensi quindi
che non si debba aver fede nella ragione?
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