martedì 22 gennaio 2013

Ancora diciannove riflessioni su politica, potere, formazione (xii)


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È noto che i percorsi formativi che più direttamente sfociano nel mondo del lavoro sono quelli a orientamento tecnico-specialistico, che impegnano le nostra capacità operative in una sola direzione: esempio classico, il fordismo, dove al lavorante non viene neppure richiesta la comprensione del suo atto lavorativo all’interno del processo produttivo. Oggi si dà anche il caso contrario: il possesso di una o più sequenza operative applicabili a diversi progetti. Questa trasferibilità più o meno meccanica può venir concepita come altrettanto limitante del caso precedente. La mente vi è impegnata solo come fornitrice di strutture preconfezionate da adattare a situazioni che le richiedono. Resta relativamente fuori gioco la facoltà che più tipicamente le compete, quella di reagire individualmente e imprevedibilmente all’imprevedibilità della situazione. In altre parole viene messa tra parentesi l’inventiva, quella che per molti è la principale ragione di vita.

Ai suoi gradi inferiori il pensiero risulta bloccato dall’apprendimento, successivamente dalla ripetitività. Restano così inutilizzate la maggior parte delle potenzialità rese disponibili dai cervelli umani con una perdita secca difficilmente quantificabile ma certamente altissima. Può la scuola permettersi e a che scopo una così gravosa perdita, che non potrà che pesare sull’intera società e per un tempo non trascurabile?

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