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È noto che i percorsi
formativi che più direttamente sfociano nel mondo del lavoro sono quelli a
orientamento tecnico-specialistico, che impegnano le nostra capacità operative
in una sola direzione: esempio classico, il fordismo, dove al lavorante non
viene neppure richiesta la comprensione del suo atto lavorativo all’interno del
processo produttivo. Oggi si dà anche il caso contrario: il possesso di una o
più sequenza operative applicabili a diversi progetti. Questa trasferibilità
più o meno meccanica può venir concepita come altrettanto limitante del caso
precedente. La mente vi è impegnata solo come fornitrice di strutture
preconfezionate da adattare a situazioni che le richiedono. Resta relativamente
fuori gioco la facoltà che più tipicamente le compete, quella di reagire
individualmente e imprevedibilmente all’imprevedibilità della situazione. In
altre parole viene messa tra parentesi l’inventiva, quella che per molti è la
principale ragione di vita.
Ai suoi gradi
inferiori il pensiero risulta bloccato dall’apprendimento, successivamente
dalla ripetitività. Restano così inutilizzate la maggior parte delle
potenzialità rese disponibili dai cervelli umani con una perdita secca
difficilmente quantificabile ma certamente altissima. Può la scuola permettersi
e a che scopo una così gravosa perdita, che non potrà che pesare sull’intera
società e per un tempo non trascurabile?
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