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Gli argomenti usati
dalla destra nel dibattito politico si riducono generalmente all’aver vinto
molte tornate elettorali consecutive senza altro che appunto questo. Certo, si
tratta di un argomento assai forte in democrazia, ma è perlomeno singolare che,
visti i risultati fallimentari ottenuti, si continui a prestar fede al modello
politico prescelto. È vero che in altri paesi i risultati sono stati
altrettanto deludenti, ma è difficile negare che nell’insieme la democrazia
rappresentativa abbia bisogno, per reggere la concorrenza, di energici
correttivi in senso totalitario. Un tale correttivo è
del resto già in atto da noi con l’autocrazia del governo Berlusconi che di
democratico ha solo più il nome. La svolta autocratica dell’attuale (fine 2010)
governo italiano è avvenuta tuttavia per un abbassamento della soglia di
coscienza individuale a fronte di un attacco mediatico senza precedenti. I sistemi
formativi non sono ancora oggi preparati a sostenere questo attacco, e così la
svolta autocratica, necessaria forza a riequilibrare la deriva anarchica
innescata dal berlusconismo come prima fase della sua conquista del potere, è
stata gestita all’interno dello stesso disegno politico. Non possiamo essere
sicuri che questo disegno sia stato concepito ed eseguito con questa
lungimiranza – bisognerebbe riconoscere al suo ideatore qualità politiche
sicuramente eccezionali, ancorché perverse. Comunque, cosciente o no,
l’itinerario percorso dall’avventura berlusconiana è, credo, ben rappresentata
da una descrizione. Ma non è certo questo il correttivo autoritario di cui la
democrazia ha bisogno per uscire dal pantano anarcoide in cui è precipitata.
E allora qual è
l’auspicato correttivo, come dobbiamo immaginarne la costruzione?
È impensabile
affidarla a un unico artefice personalizzato. Il pericolo è troppo grande che
prevalgano come una volta interessi personali, anche se di senso contrario a
quelli rappresentati dal berlusconismo. Il correttivo cui accennavo –almeno fin
quando sia necessario apporlo a una democrazia fortemente inquinata– non può
che essere frutto di un pensiero logicamente rigoroso a costo di apparire, come
dicono alcuni, ‘giustizialista’. Vedrei questa come una fase politica di
transizione volta al ristabilimento di una condivisibile convivenza civile, una
sorta di rifondazione dello stato democratico. Una fase del genere non credo
possa essere affidata ai partiti, che per forza di cose finirebbero per
soggiacere ai particolarismi che tuttora ne guidano le azioni. C’è bisogno di
una nuova costituente che appronti una nuova Costituzione, figlia della precedente, che nasca dall’esame,
criticamente approfondito, di quanto avvenuto nel sessantennio appena
trascorso. A questa Costituente dovrebbero essere chiamati filosofi,
politologi, sociologi, giuristi e altri studiosi di discipline interessanti la
comunità, più una congrua rappresentanza di un pensiero di base – ulteriormente
definibile. A questo comitato fondante dovrà essere garantito un periodo di
lavoro sufficientemente lungo per produrre un testo in grado di adeguare il
precedente alle nuove esigenze emerse in questo lasso di tempo. Ripeto: è essenziale che la valutazione di quanto
avvenuto non sia affidata alle basi politiche –e o loro leader– attivi in precedenza. Questa condizione, che a qualcuno
potrà apparire stravagante e forse anche ingiusta, è resa probabilmente
necessaria per azzerare una situazione divenuta ormai insostenibile. Lo stato
confusionale in cui sembra essere caduta la società italiana ha, credo, bisogno
di un ritorno –si spera momentaneo– alla pratica terapeutica dell’elettroshock.
1 commento:
Caro Boris,
sono d'accordo con il tuo pensiero. Ci vorrebbe una costituente che riformulasse i principi della nostra democrazia, in quanto si sono persi per strada. Essa dovrebbe solo precisare i diritti già contenuti chiaramante nella nostra costituzione, in modo che la loro interpretazione e applicazione diventasse più incisiva e cogente. La nostra costituzione contiene già tutto quello che serve. Ma è stata gradualmente sempre più disattesa e disattuata.
La sovranità non appartiene più al popolo, ma è stata delegata ai mercati finanziari. E questo è decisamete incostituzionale.
Un bellissimo libro che può servire per approfondire questo tema e quello di Salvatore Settis, Azione popolare, dove si dice che in tali casi secondo la nostra costituzione è diritto dovere dei cittadini la resistenza civile verso la svendita della sovranità. Libro molto ben argomentato. L'autore è uno storico dell'arte, che ha anche ricevuto la laure in legge honoirs causa.
Un affettuoso saluto.
mauro
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