martedì 29 dicembre 2009

Violenza



Dare a qualcuno un pugno sul naso senza ragione è violenza.

E con ragione?

Il guaio è che le ragioni si trovano sempre, come la STORIA, anche recente, insegna. Forse il primo passo della violenza sono proprio le RAGIONI che –pensiamo– ci autorizzano a usarla. A ben guardare la CONDANNA a morte di un colpevole non differisce gran che dalla condanna a morte di un innocente: violenza di uomini su un uomo. È vero che nel primo caso la violenza ha le sue ragioni nella violenza connessa dal ‘colpevole’, il quale però avrà avuto anche lui le sue ragioni …

Quello che stiamo facendo è un DISCORSO massimalista e fortemente IDEOLOGICO: parificare tutte le violenze in nome di un’idea unica e astratta di ‘violenza’. Non pretendiamo affatto il CONSENSO su queste posizioni che neppure noi condividiamo. Allora perché presentarle?

Perché sono possibili e neppure scartabili a priori. Ne potrebbe derivare per esempio che nell’amministrazione della GIUSTIZIA è bene separare la RICERCA dei fatti e della RESPONSABILITÀ dalla VALUTAZIONE della COLPA e dall’assegnazione della PENA. Quest’ultima infatti non fa che aggiungere violenza a violenza senza che la seconda cancelli la prima. Lasceremo quindi liberi i delinquenti? Ovviamente no, ma la condanna non andrebbe PERCEPITA, neppure da chi la subisce, come PUNIZIONE o, peggio, come VENDETTA, della SOCIETÀ, ma solo come ristabilimento di un EQUILIBRIO rotto dalla violenza. In molti paesi la giustizia viene già amministrata cosí.

sabato 19 dicembre 2009

Il segreto di Nikola Tesla...

Cosa ne pensate di un bel filmetto per il fine settimana? Nikola Tesla, un genio, un sognatore, un utopista o che altro?



Ci sono invenzioni e\o scoperte che possono cambiare il corso della storia, di conseguenza il mondo in cui viviamo. Quanto è possibile scegliere quando ci troviamo di fronte ad un bivio?

A voi la possibilità di crearvi un idea a riguardo...

mercoledì 16 dicembre 2009

Ah, il cocco, il cocco!



Niente meno che un invertebrato ... utilizzando strumenti!

Uno dei primi casi mai osservati dai biologhi ...

domenica 13 dicembre 2009

Dagli Esercizi Speculativi (Parte II di IMC) ... Cuuuultura



Tutti abbiamo una cultura. Alcuni ci tengono anzi moltissimo ad essere ‘rappresentanti’ di una cultura. Forse tutti lo siamo; forse nessuno lo è. ma che vuol dire ‘cultura’? Ascoltate e saprete tutto.

giovedì 3 dicembre 2009

verso Copenhagen...



Cosa ne pensate della nuova campagna di Greenpeace ?

lunedì 30 novembre 2009

Un appello per la sopravvivenza:

Domattina sorgerà il sole? Chi lo sa? Speriamo bene!

domenica 22 novembre 2009

Incontro ad Arthè


Vi ricordiamo l'appuntamento del 29 novembre presso Arthè, a Poggio Mirteto Vecchia. Boris Porena guiderà un 'circuito autogenerativo' sul tema "Di chi è il nostro pensiero".

"Ci interessa la vostra opinione. Natulamente vi dirò anche la mia..."
B.P.

lunedì 16 novembre 2009

Piano B: non finire in carcere

Ecco la puntata di Passaparola di Marco Travaglio del 9 Novembre pubblicata sul sito di Beppe Grillo. Per chi volesse saperne di più riguardo l'attuale situazione della giustizia in Italia e sulle probabili 'riforme'. Clicca il video!



Travaglio ci spiega in maniera chiara ed efficace alcuni termini che spesso sentiamo in giro in questi giorni.

sabato 7 novembre 2009

kebelapoessiakazzo!

no

Abbiamo avuto pochi giorni fa una gratissima sorpresa: la nostra amica Antonella Gargano ha avuto la gentilezza di produrre una trascrizione dell'intervento di Boris Porena, pronunciato poco più di un anno fa, nel convegno romano sulla da lui ammiratissima poetessa tedesca Nelly Sachs. Grazie Antonella!

[Rigobaldo prende la parola: Prima di trascriverlo qui, mi permetto, come insignificante redattore del blog, di riferire un aneddotto: quando abbiamo riletto con Boris l'intervento, la sua attenzione si è soffermata sulla poesia della Sachs con la quale ha iniziato detto intervento (So rann ich aus dem Wort: ...). Dopodiché ci ha regalato ... il dotto commento col quale mi permetto di intitolare questo post.]

Godetevela.


Composizioni per Nelly Sachs

So rann ich aus dem Wort:

Ein Stück der Nacht
mit Armen ausgebreitet
nur eine Waage
Fluchten abzuwiegen
diese Sternenzeit
versenkt in Staub
mit den gesetzten Spuren.

Jetzt ist es spät.
Das Leichte geht aus mir
und auch das Schwere
die Schultern fahren schon
wie Wolken fort
Arme und Hände
ohne Traggebärde.

Tiefdunkel ist des Heimwehs Farbe immer

so nimmt die Nacht
mich wieder in Besitz
[1].

In questa lirica di Nelly Sachs, contenuta in Flucht und Verwandlung, è presente l’idea di un ‘grondare’, un ‘uscire dalla parola’ allo stato liquido. Leggere di più ...

È una parola impegnativa “das Wort”, anche perché densa di riferimenti sia religiosi o più ancora mistici. In Nelly Sachs l’elemento mistico è fondamentale, e qui la parola sembra quella evangelica del Vangelo di Giovanni. «Ein Stück der Nacht / mit Armen ausgebreitet»: penso che questo gesto visivo, sia quello verbale che quello delle braccia, abbia sollecitato la mia volontà di traduzione in un gesto musicale. Ne è nata quindi una linea ondulata, che in qualche maniera apre e chiude queste braccia – «nur eine Waage / Fluchten abzuwiegen» –, dove c’è l’idea della bilancia che immaginiamo statica, ma che rimanda anche ad un continuo movimento. E se si guarda infatti la linea melodica, appare caratterizzata da un salire e da uno scendere. «Nur eine Waage / Fluchten abzuwiegen / diese Sternenzeit / versenkt in Staub / mit den gesetzten Spuren», così scrive Nelly Sachs in questi versi di difficile interpretazione. Ma direi che non è tanto importante il significato delle parole, quanto il suono di esse, anche se spesso noi cerchiamo comunque di interpretare, leggendo la poesia come se leggessimo prosa. Ma la poesia non è un teorema. Quindi anche la traduzione musicale è largamente arbitraria, intuitiva in un senso elementare. E poi, nella poesia di Nelly Sachs, ci sono immagini ricorrenti che denotano leggerezza: «Das Leichte geht aus mir». C’è sempre questo senso della salita verso l’alto, nubi, fumo, gesto, qualcosa che tende sempre verso la dissipazione dell’atmosfera. Di qui viene una leggerezza, che si traduce in leggerezza della poesia. La poesia di Nelly Sachs è estremamente lieve, leggera, non poggia mai i piedi a terra, come invece quella di Paul Celan. In questo senso i due sono molto lontani l’una dall’altro, pur essendo vicini in termini di sensibilità, di argomenti, di senso tragico. Ma mentre il senso tragico di Celan si traduce sempre in una sorta di peso, di incubo tremendo che ti investe, la stessa tragicità in Nelly Sachs libera sé e te da questo peso. E sembra quasi impossibile per quel peso che potesse trasmutarsi in una lieve nuvola che rosata si perde all’orizzonte. Proprio qui sta la magia di Nelly Sachs e metterla in musica è stato piuttosto difficile. Si rimane al tentativo e alla buona volontà di trasformare in musica le parole.
In un’altra poesia, tratta anch’essa da Flucht und Verwandlung, c’è comunque in lei, poetessa ebrea, continuamente l’idea della salvazione, l’idea che qualcuno debba salvare qualcun altro:

Wie leicht
wird Erde sein
nur eine Wolke Abendliebe
wenn als Musik erlöst
der Stein in Landsflucht zieht

und Felsen die
als Alp gehockt
auf Menschenbrust
Schwermutgewichte
aus den Adern sprengen.

Wie leicht
wird Erde sein
nur eine Wolke Abendliebe
wenn schwarzgeheizte Rache
vom Todesengel magnetisch
angezogen
an seinem Schneerock
kalt und still verendet.

Wie leicht
wird Erde sein
nur eine Wolke Abendliebe
wenn Sternhaftes schwand
mit einem Rosenkuß
aus Nichts -
[2].

La terra è pesante per tutti, soprattutto quella che un giorno ci ricoprirà. Ma in Nelly Sachs il peso si libra verso l’alto. Ed è forse proprio l’immagine di questa leggerezza che mi ha attratto e che ha determinato anche la scelta dello strumentale, il violino e il mandolino. Raramente ho scelto nelle mie composizioni l’utilizzo di strumenti a pizzico, che non amo particolarmente. Ma qui il suono che muore sul nascere e scompare mi sembrava adatto per questo tipo di poesia. C’è poi la ripetizione – tre volte si ripete «Wie leicht wird Erde sein» – che è tra gli elementi che attirano chi voglia in qualche modo creare un connubio tra parola e suono. C’è il suono della parola che qui, «Wie leicht wird Erde sein», si presenta – io almeno l’ho letto così –con questo gesto discendente. «Wie leicht wird Erde sein / nur eine Wolke Abendliebe»: sono immagini ‘facili’, immediate, che significano nient’altro che quello che dicono. Inutile andare a cercare metafore, sono immagini: «eine Wolke», ad esempio, non è una metafora, è un’immagine di una poetessa visionaria.
In Nelly Sachs anche le pietre enormi, le rocce – «und Felsen die / als Alp gehockt / auf Menschenbrust» – si dissolvono: «der Stein in Landsflucht zieht». In Celan il peso ce lo porteremmo appresso fino alla fine, ci schiaccerebbe, in lei anche questo si risolve. C’è poi un’immagine abbastanza dura, la «schwarzgeheizte Rache», una vendetta resa nera dal calore, che viene attirata magneticamente dall’angelo della morte. Siamo già in una fase di risoluzione di questo peso, ma è ancora pur sempre l’angelo della morte che conduce. Ed è singolare come quest’angelo della morte abbia un vestito bianco, di neve e non nero, un colore la cui scelta in questo contesto determina liberazione, è atto salvifico anziché gesto di annientamento. «Kalt und still verendet»: il peso, quel peso tremendo, si è dissolto.
Nell’ultima strofa la traduttrice ha trovato un ritmo molto dolce, molto italiano per questa bellissima immagine cosmica di qualcosa di stellare, di un bacio di rosa fatto di nulla:

Come lieve
sarà la terra
solo una nube d’amore a sera
quando scomparve qualcosa di stellare
con un bacio di rosa
fatto di nulla ... [3]

Qui tutto termina non nella leggerezza, ma addirittura nel nulla, che poi è un nulla che ha evidenti riferimenti con il mondo della mistica. Questa idea della sparizione è ricorrente in mistici come Meister Eckhart, è uno dei cardini del pensiero mistico che la Sachs riprende, ma con leggerezza. Non c’è mai in lei la citazione dotta; per questo, dal punto di vista letterario, Nelly Sachs non è una ‘letterata’, è qualcosa di diverso, che vive appunto di questa leggerezza.
Ma ritorniamo al tema musicale. Come sceglie un musicista il suo testo? Certo l’argomento della lirica di Nelly Sachs –quel ‘peso’– ha la sua importanza, ma soprattutto interessante è il modo in cui la poetessa distrugge, vanifica questo peso. E questa è un’operazione abbastanza singolare e interessante. Nella scelta di un testo ci può essere il caso, ci può interessare l’argomento, o ci può interessare la figura del poeta. Per quanto mi riguarda la maggior parte delle cose che ho musicato sono di Goethe, che per me è un punto di riferimento. Dunque c’è la persona di un poeta, e c’è la poesia stessa, soprattutto come la poesia è detta, non tanto quello che dice, ma come viene detto. È l’accostamento delle parole che conta: la poesia ha questo in più rispetto alla prosa. Anche se è vero che c’è una prosa dove viene fatta una scelta attentissima delle parole, dove l’accostamento arriva a fare scintille fra le parole (basta pensare a Thomas Mann, a Kafka, o a tutti gli autori di un certo rispetto), ma nella poesia c’è sempre qualcosa di più, c’è il ritmo, c’è in molti casi addirittura la rima, che oggi è svalutata, ma che è uno degli elementi importanti del pensiero poetico, proprio perchè attraverso il suono si realizzano associazioni sonore che altrimenti non potrebbero essere fatte. Viene in mente internet, che attraverso un link consente di girare tutto il mondo: anche il poeta fa così attraverso associazioni sonore, ritmiche, di argomento, di forma. Si pensi a quella ripetizione «Wie leicht wird Erde sein» che, musicalmente, è impressionante, è la forma della poesia che induce la connessione, che è la congiungente tra i due mezzi espressivi. E poi c’è il “Klang”, la musicalità, la bellezza della lingua che contempla in un certo senso se stessa.
Mi auguro di essere riuscito a rendere l’idea di cosa spinge un musicista a mettere in musica le parole di una lirica. In questo senso Schubert è l’esempio inarrivabile, che si identifica con tutta la complessità della poesia. Non è solo l’argomento, non è solo la forma di una poesia che si ritrova nei suoi Lieder, è un insieme di tutte queste cose. Schubert riesce a far scattare la scintilla anche là dove uno degli elementi non è niente di eccezionale. Molte delle poesie messe in musica da Schubert sono oggettivamente mediocri, ma non sono più mediocri nel momento in cui c’è Schubert. Se, ad esempio, si leggesse la Winterreise di Wilhelm Müller, senza pensare alla musica, sarebbe ancora la Winterreise? Io sono un grandissimo estimatore di Müller, ma posso essere sicuro che avrei lo stesso entusiasmo che ho per i versi di Müller se non ci fosse dietro la musica di Schubert.
Qualche anno fa, nel 2003, ho scritto una poesia dedicata a Nelly Sachs, nella quale alcuni termini sono una mia ‘invenzione’, come nel caso di «Läufte», che non si trova nel vocabolario, ma che ho costruito sulla base di una associazione con l’esistente «Zeitläufte». E con questa lettura, nella versione tedesca e poi nella versione italiana, vorrei concludere il mio intervento:

An Nelly

Schwerelos schwebt dein Wort
über unsagbarer Trauer,
kindlich greises Judenhaupt.

Es breiten sich aus deine Arme
– Erlösergebärde –
falbes Licht umfassend
ferner Galaxien.

Immer noch unerlöst
gleiten wir
in beschleunigten Läuften
unaufhörlich
nichtswärts.



A Nelly

Senza peso la tua parola si libra
sopra indicibile lutto,
grigio capo di bambina ebrea.

Si aprono le tue braccia
–gesto di redenzione–
ad accogliere falba luce
di lontane galassie.

Non ancora redenti
scivoliamo
in corse accelerate
senza posa
verso il nulla.



(1) N. SACHS, Fahrt ins Staublose. Die Gedichte der Nelly Sachs, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. Main 1961, p. 327 («Grondai così dalla parola: // un frammento di notte / a braccia spalancate / una bilancia solo / per soppesare fughe / in questo tempo stellare / calata nella polvere / impressa d’orme. // È tardi ormai. / Ciò che è lieve mi lascia / e ciò che è greve / già vanno via le spalle / come nubi / braccia e mani / libere nel gesto» [N. SACHS, Poesie, a cura di I. Porena, Einaudi, Torino 2006, p. 75]).
(2) N. SACHS, Fahrt ins Staublose. Die Gedichte der Nelly Sachs, cit. pp. 256-257. («Come lieve / sarà la terra / solo una nube d’amore a sera / quando dissolta in musica / trasmigrerà la pietra // e rocce, / incubi ammucchiati / sul cuore dell’uomo, / pesi di tristezza, / sprizzeranno dalle vene. // Come lieve / sarà la terra / solo una nube d’amore a sera / quando la nero accesa vendetta / magnetizzata /dall’angelo sterminatore / morrà fredda e muta / sulla sua gelida veste. // Come lieve / sarà la terra / solo una nube d’amore a sera / quando scomparve qualcosa di stellare / con un bacio di rosa / fatto di nulla…» [N. SACHS, Poesie, cit., p. 67]).
(3) N. SACHS, Poesie, cit., p. 67.

martedì 3 novembre 2009

L'onda

Animaletto bello di bronzo, dicci cos'è "l'onda".

lunedì 26 ottobre 2009

Stereotipi?

Un famoso video di Bruno Bozzetto...

lunedì 19 ottobre 2009

Alberto Gianquinto - Mutazioni. Su Boris Porena.

In seguito allo scritto di Boris Porena 'Verso una mutazione' pubblicato sul sito Testo e Senso, ci è giunta questa interessante riflessione da parte di Alberto Gianquinto. La riportiamo qui sotto.


- Alberto Gianquinto -

Mutazioni. Su Boris Porena.

Il fatto incontrovertibile che il punto di partenza non può essere altro che la creazione, la quale non è il semplice inventare, ricavando qualcosa da ciò che già si conosce: non è un ricombinare il già noto: la creazione appartiene a ciò che in psicologia è chiamato pensiero laterale (ma va ben più in profondo del pensiero) e che consiste proprio nel rompere uno schema noto, cioè – movendo dalla norma costituita – nel respingere la relazione con questa, movendo addirittura dalle radici pre-linguistiche del contenuto simbolico dei diversi linguaggi. La generazione, l’atto creativo simbolico, muove da rapporti pre-linguistici, familiari ed empatici che ciascuno ha con il mondo delle cose, secondo una lateralità di prassi e di pensiero rispetto alla norma, creando per tale via una rete, un tessuto di relazioni semantiche e sintattiche, che costituiscono verticalità con il mondo e orizzontalità fra simboli, che solo in un momento ulteriore s’incontrano con la norma costituita dalla cultura condivisa, quindi con la società che deve introiettare questi nuovi codici, riconducendo a nuova norma e a nuovo livello lo scarto prodotto dall’atto creativo. In questo passaggio dall’immediato pre-linguistico alla mediazione simbolica può costituirsi quella poetica in cui si specificano i nuovi caratteri dei linguaggi. Questo codice in fieri non esiste prima, nelle norme della cultura già data: non è una pura ricombinazione di elementi già presenti e noti, ma emersione da un piano non ancora logico-razionale di quel che ancora non è saputo. Un sapere si forma lentamente sul piano dell’inconscio, della coscienza e della storia. La memoria stessa delle cose, il tessuto storico insomma, non è auto-descrizione di sé o semplice narrazione della propria storia sociale; nel presente creativo, solo in quanto atto creativo, si pone una nuova allusione al passato ed al futuro, una nuova rete mnestica e nuovi modi di visione ed anticipazione del domani, in termini non metafisico-attualistici del divenire storico.

Se la società tende a conservare tutti i suoi codici interpretativi, la creazione culturale ha la funzione di rimetterli in discussione, non attraverso un sincretismo di idee, ma attraverso individuali atti creativi, che solo quando introiettati nella cultura di una società divengono terreno di unificazione: non è da una pluralità di culture che si setacciano gli ingredienti del nuovo: questo nuovo deve essere creato individualmente rompendo gli schemi storici delle diverse culture e da questi fondamenti infine riproposto alla società, che deve riappropriarsene.

Se il linguaggio della coscienza non è il solo possibile, se il percorso dal sapere al pensare non è diretto, ma deve rompere gli schemi del sapere, per poter pensare (o meglio: per poter esprimere contenuti in forme linguistiche) in modo nuovo (in modo che lo scarto prodotto nella creazione possa essere poi ricondotto a nuova norma), ciò non accade soltanto attraverso un confronto paritario di opinioni e di competenze diverse, e quindi attraverso il loro azzeramento, ma, al contrario, attraverso lo sforzo creativo, che intende rompere gli schemi che si propongono nel confronto, con l’intenzione di portare questo e solo questo atto creativo al vaglio della società, che decide quale sia in grado di sussumere e di conservare come sua norma, fino al successivo atto che ancora una volta scarta dalla nuova norma. La ricerca di parametri culturali tramite il confronto deve consistere nel sostenere, certo, che la continuità di ciascuno sta nel diverso da sé, ma non che questa debba risolversi in sincretismo, in una media democratica di opinioni. Indagare tutti i dinamismi, latenti o meno nelle diverse culture, significa semplicemente ripensarli ex novo, per capire a quali possa essere consentita una nuova e ri-creata rappresentazione.

lunedì 12 ottobre 2009

Amico


Amico


"Giulio è mio amico”: la solita attribuzione di qualità, operata, quasi a nostra insaputa, dal verbo ‘essere’. Ma Giulio non è amico di Edoardo (che neppure conosce); la qualifica di 'amico' non riguarda quindi una proprietà di Giulio –che insieme la possiede e non la possiede– ma una proprietà ‘mia’: quella di chiamarlo 'amico'. Sembra un insulso gioco di parole, eppure quante incomprensioni, delusioni possono nascerne. Se infatti Giulio non si comporta come pensiamo si debba comportare un amico, ecco che subentra il rancore, quasi che la responsabilità di un'amicizia tradita fosse sua e solo sua. Potrebbe invece darsi il caso o che lui non si riconoscesse nella mia affermazione o che le nostre idee di ‘amicizia’ non fossero le stesse. In ogni caso la frase “Giulio è mio amico” non riguarda lui e forse neppure me; qualifica una relazione, ma da un punto di vista unilaterale.

(Dall'opera Metaparole, di Boris Porena, 2008, di prossima pubblicazione)

mercoledì 7 ottobre 2009

Epistola a Serge Latouche




È difficile dialogare efficacemente con qualcuno di cui si condividono le idee. Normalmente non si fa che ripeterle, ma non sempre repetita iuvant, può anzi capitare che in bocca a un altro le idee di quel qualcuno risultino sfocate, invecchiate, indebolite. Che fare allora? Contestarle solo per il piacere di affermare sé stessi? Meglio mi sembra di ribadirle da un punto di vista che non può essere quello che le ha generate, per poi tentare di derivarne delle altre e così via.

Caro Latouche,

i tredici anni che ci dividono mi permettono forse di darti del ‘tu’, anche se la tua voce, benché scomoda, ha certo più ascolto della mia. Non sono un buon lettore e di te conosco più per ciò che circola per l’aria che per conoscenza diretta. Leggere di più ...

Ciononostante mi sono accorto che molte delle cose che ritenevo di pensare con la mia testa in realtà. le stavo pensando con la tua, ma la cosa non mi è per nulla dispiaciuta. Sono convinto, ormai da anni, che una tête bien faite (come dice Morin) non tanto pensa individualmente quanto coglie il pensiero fluttuante nel suo tempo. Ma chi ci garantisce di aver colto quello giusto? Per parte mia, avendo colto quello tuo, ne sono convinto.

Che il mondo vada incontro alla sua rovina mi sembra incontestabile. Mi occupo, da dilettante, di entomologia e vedo di anno in anno le specie di insetti, anche le più comuni, contrarsi fin quasi alla sparizione. Intere famiglie coleotteri, lepidotteri, imenotteri, per citare quelle più conosciute, stanno scomparendo, almeno dalle nostre parti, ma notizie altrettanto sconfortanti mi giungono da altre parti del mondo. TV e giornali non ne parlano, la cosa non sembra interessare nessuno, ma il sintomo è là, sotto i nostri occhi e non escluderei che di qui a qualche tempo il ‘sintomo’ coinvolga anche noi.

Sento invece quotidianamente e con fastidio le soddisfatte dichiarazioni dei politici, economisti, imprenditori che la crisi l’abbiamo passata, che l’economia ha ripreso a crescere e la ricchezza a rifluire nelle tasche degli uni e a defluire da quelle degli altri. Anche se questo fosse vero, per quanto tempo il flusso continuerà? Fino alla prossima crisi, peggiore di quella da cui dicono che siamo usciti, a meno … a meno che il capitale non accenda un terzo conflitto mondiale che non risparmierebbe tuttavia nessuno, neppure quelli che l’hanno acceso.

Non c’è bisogno che io ricordi a eventuali lettori di questa epistola politica i capisaldi della tua analisi del mondo contemporaneo: l’inganno di una crescita economica illimitata su un pianeta a risorse limitate, la trappola dello sviluppo sostenibile, il primato dell’economia, l’appiattimento culturale sul modello occidentale con conseguente perdita della diversità, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, del terreno, il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacci, l’imbarbarimento dei costumi ecc. ecc. Sono tutte cose che osserviamo quotidianamente ma è come se non le vedessimo, accecati come siamo dalla ricerca di welfare anch’esso in crescita illimitata come il nostro desiderio di tenergli dietro. Eppure sono anni, decenni che tu e altri le andate ripetendo e che la storia recente vi dà ragione, come anche l’attuale crisi dimostra. Immaginiamo per un attimo che la classe politica o parte di essa, in Europa, in America o nei maggiori paesi emergenti vi dia ascolto, come per esempio Obama sembra che faccia. Sappiamo benissimo che non sono i partiti o i governi a decidere delle nostre sorti, ma le multinazionali, le lobbies del potere economico e finanziario … Ma la democrazia, il diritto alla scelta, che il cittadino ha conquistato in secoli di lotta per la ‘libertà’? Appena ha potuto lo ha deposto ai piedi dei miglior promettenti che, per semplificargli le cose, si sono autoridotti in molti paesi a due schieramenti scarsamente distinguibili.

La ‘democrazia’ … l’ultimo –in ordine di tempo– degli inganni che il capitale ci ha intessuto attorno, eppure il male minore tra quanto abbiamo saputo escogitare a salvaguardia di noi stessi.. La democrazia non regala la libertà, ma la presuppone. Voglio dire che, per realizzarla con un minimo di credibilità, la mente deve essere ‘libera’, cioè autonoma nella scelta. Mentre nelle democrazie reali tutto concorre, dalle campagne elettorali agli spot televisivi, a confondere mente e scelta, per lo più non opponendo verità a verità ma menzogna a menzogna. Ma tutto questo non sarebbe grave se l’autonomia l’avessimo ereditata come un cane ha ereditato l’attaccamento al branco (impersonato dal suo padrone), o se fossimo stati educati ad essa. Ma nessuna delle due cose si è verificata e non siamo né ‘liberi’ né autonomi, pur professandoci ‘democratici’.

Il nostro CMC (Centro Metaculturale) proprio di questo si occupa da 35 anni : di rendere quanto è possibile libero e autonomo il pensiero. A dire il vero, inizialmente si trattava piuttosto di capire come funzionava un pensiero ancora non o poco plasmato dalla cultura. E, quanto a verginità, quale territorio più vergine di quello musicale nella scuola elementare di un piccolo paese interno del Lazio? E qui, a Cantalupo in provincia di Rieti abbiamo cominciato il nostro lavoro di ricerca e sperimentazione sulla composizione di suoni in assenza di codici sintattici, grammaticali, lessicali. Più tardi un analogo lavoro è stato ‘trasferito’ nei territori adiacenti al visivo, del verbale, man mano estendendo a tutte le discipline rappresentate nella scuola. La nostra sperimentazione si è limitata a un livello di base, indagato però anche sui ragazzi più grandi e su adulti. I risultati ottenuti hanno largamente confermato la nostra fiducia nella mente umana, chiunque ne sia il portatore. Quando poi anche noi ci siamo imbattuti nei grandi problemi legati alla sopravivenza, la strada da seguire ci è sembrata quella di rendere le menti consapevoli al di là di quanto ci dicono le culture ufficiali, rese cieche da ben altri interessi. La consapevolezza non può tuttavia essere insegnata con una qualsiasi disciplina scolastica. Non consta di nozioni, dati, teoremi, ma è per così dire l’attività primaria del cervello umano, che non solo registra nozioni e dati e comprende i teoremi che li legano, ma raccorda le informazioni ricevute dall’esterno agli stati interni della mente, riflette cioè il ‘fuori’ nel dentro. Questo fondamentale passaggio che ci permette di lavorare, anziché con oggetti fisici, con rappresentazioni mentali riconosciute come tali, viene solitamente gestito dalla cultura. Ciò vuol dire che è la cultura –o meglio sono le culture nella loro variabilità– a determinare che cosa viene riconosciuto e come. Abbiamo chiamato questo tipo di riflessione ‘riflessione culturale’ in quanto interna a un sistema di valutazioni preordinato dagli UCL (Universi Culturali Locali). Noi però per sopravvivere abbiamo bisogno di un tipo di riflessione quanto più possibile indipendente dagli UCL. Un livello di autonomia totale e probabilmente irraggiungibile per una specie sociale come la nostra; le esperienze condotte dal nostro Centro ci fanno tutta via ritenere possibile una riflessione metaculturale, in certo qual modo più vicina a un ipotetico livello preculturale quale l’abbiamo riscontrato nella nostra esperienza di ‘base’ con la musica.

Le dimensioni standard di queste ‘epistole politiche’ non mi permettono di illustrarti più in dettaglio il nostro lavoro, documentato in numerosi scritti, peraltro non pubblicati e ottenibili solo dietro richiesta diretta. Come vedi, il nostro progetto formativo è propedeutico al tuo nel senso che mira da un lato alla destrutturazione della mente acculturata passivamente, dall’altro alla ricostruzione di una mente aperta –metaculturalmente– alla pluralità culturale. Il passaggio da una riflessione ‘culturale’ a una ‘ metaculturale’ non porta a nessun aggravio conoscitivo, non c’è bisogno di ulteriori studi e approfondimenti. È sufficiente che riconosciamo la natura ‘culturale’ di tutto ciò che pensiamo, diciamo, facciamo, il ché vuol dire che siamo in grado, se necessario, di dichiararne l’UCL di riferimento, fuori del quale nessuna valutazione è possibile senza una verifica nel nuovo UCL. Anche gli ‘assoluti’ sono metaculturalmente accettabili purché riferiti a uno o più UCL. Così le vostre analisi (da noi condivise) sono probabilmente ‘vere’ in tutti gli UCL che includano tra i loro principi quello della sopravivenza. Un UCL che non lo contenesse potrebbe tranquillamente lasciar andare le cose come vanno. Non basta tuttavia che esistano sulla terra delle persone capaci di pensare metaculturalmente. Occorre che diventino la maggioranza in tutti i paesi. Se in uno qualsiasi dei paesi che possiedono la bomba atomica una persona o un gruppo con accesso agli arsenali non avesse tra gli ingredienti del suo UCL il principio della sopravvivenza, non ci sarebbe da scommettere due soldi sul futuro di Homo sapiens sapiens. Con l’intento di promuovere la riflessione metaculturale, il che è come dire il linguaggio-macchina del cervello, ho approntato lo scorso anno una raccolta di Metaparole che altro non sono che parole di uso comune su cui un breve testo introduttivo invita a riflettere fuori dai binari del suo uso convenzionale. Finalità analoga si propongono queste Epistole politiche, diverse solo per una maggiore ampiezza e un tono più colloquiale.

Tra le due raccolte un’altra ve n’è, Parabole, di impostazione didattico-narrativa. L’intento è lo stesso e l’uso che vorrei ne venisse fatto è di lettura pubblica come invito a un commento collettivo anche e sopratutto divergente dal testo letto.

Caro Latouche, se fossi più giovane, ti chiederei una collaborazione più duratura, ma, pur essendo musicista, non posso più decidere della durata.

B.

Cantalupo, 30 IX 2009

domenica 27 settembre 2009

Buon compleanno!

Siccome è ben noto che Boris predilige i dolci bbbbbuoni, ecco una ricetta di cucina per festeggiare il suo LXXXIIº ...


Buon appetito!