domenica 16 ottobre 2011

Attenti ai giudizi impliciti!

[221]
La metafora dell'invecchiamento è tra le più usate per descrivere il declino dei popoli, delle civiltà. Ovviamente l'espressione non va presa alla lettera, nel senso che i singoli componenti di una certa civiltà nascano già vecchi o invecchino più rapidamente che in altra. Eppure su scala biologica ha senso parlare di ‘senescenza’ di una specie, addirittura di gruppi di specie, come quando, alla fine del mesozoico, le ammoniti, prima di estinguersi, proliferarono in forme aberranti… Ma, se quelle forme si fossero incontrate – come in qualche caso è avvenuto– in periodi precedenti, lontani ancora dall’estinzione, avremmo ancora parlato di senescenza? Lasciamo ora i tempi lunghi dell’evoluzione biologica e veniamo quelli, assai meglio afferrabili, della cultura. Il cittadino romano della decadenza era anche lui ‘decadente’? Per certi versi possiamo dire di sì, per esempio osservando la produzione poetica della tarda latinità, inquinata dal Cristianesimo ma nostalgica della classicità. Ma perché “inquinata”, perché “nostalgica” e non semplicemente ‘altra’, come ‘altra’ era la classicità latina da quella greca? Attenti ai giudizi impliciti!

sabato 15 ottobre 2011

Das Alter


[220]
Das Alter ist ein höflich Mann:
Einmal übers andre klopft er an;
Aber nun sagt niemand: Herein!
Und vor der Türe will er nicht sein.
Da klinkt er auf, tritt ein so schnell,
Und nun heißts, er sei ein grober Gesell.
Goethe

[La vecchiaia è persona gentile:
ogni tanto bussa alla porta;
ma nessuno dice: avanti!
E non le piace restare alla porta.
Così gira la maniglia ed entra di colpo,
poi dicono che è una maleducata.]

Pratica igienica di base

venerdì 14 ottobre 2011

È bene pensarci per tempo


[219]
Cerco di generalizzare le riflessioni di ieri, togliendole del mio specifico caso e testandole su un processo cui tutti andiamo incontro, anche se non sempre la vita dà il suo assenso: l'invecchiamento.

Eros ci abbandona, l’udito, la vista calano, il gusto perde di godibilità, il passo si fa incerto, traballante; siamo impediti fin nelle più normali attività come lavarci, vestirci, gli interessi che fino a ieri ci legavano alla vita, cedono all’indifferenza, quasi ci sono nemici, la memoria ci abbandona in quanto non ne avvertiamo più l’utilità, la partecipazione non ci attira, la curiosità si spegne. Un quadro che, a pensarci quando la vecchiaia ancora non infierisce, ci appare leopardianamente desolante. Eppure, a viverci dentro, ma non lo è. Lo diventa nella misura in cui non l’accettiamo. La ‘fisiologia’ del vecchio non è meno ‘naturale’ di quella del bambino o dell’adulto. Il suo pensiero allora invecchia come il corpo, non di rado però oppone resistenza, e qui sta il guaio: non nell’invecchiamento là dove c’è, ma nel cervello o in quella sua parte che lo rifiuta. Che fare allora?
Educare il cervello, e non solo da ultimo, ma fin da quando il pensiero della vecchiaia neppure lo sfiora, a goderne come di una cosa conclusa un impegno assolto. A come concludere una cosa, assolvere un impegno, è bene pensarci per tempo, e anche su questo la scuola, la società dovrebbero abituarci a riflettere.

giovedì 13 ottobre 2011

... la liberazione da un gravoso impegno imposto

[218]
Spesso mi meraviglio di quanto poco mi sia costata la chiusura della mia attività di compositore. Mi domando se in sessanta anni e più non si fosse radicata in me, tanto da doverla estirpare con la forza, mentre invece si è dissolta senza neppure lasciare un rimpianto, anzi quasi come la liberazione da un gravoso impegno imposto. Eppure l’avevo intrapreso per scelta e sempre dichiarato che fosse un piacere, un divertimento privato, visto che nessuno me la richiedeva né ne prendeva notizia. Evidentemente questo piacere era controbilanciato da una fatica, di cui non tanto il corpo quanto la mente provava le conseguenze. C’era poi il secondo impegno, da molti anni sempre più pressante e ormai in grado di prendere definitivamente il posto dell’altro, anche nella sua componente ludica. Ora che è rimasto solo, e lui che comincia ad affaticarmi come prima la composizione. Perfino questi postini, anziché scorrere spontanei e senza difficoltà come mi ero immaginato, sono una quotidiana preoccupazione, alla quale non saprei peraltro rinunciare, come un tempo non rinunciavo alla giornaliera paginetta di musica.

martedì 11 ottobre 2011

La sostituzione è ormai compiuta

[217]
La sostituzione che mi riguarda è ormai compiuta: da compositore mi sono trasformato, prima in ricercatore didattico, poi in formatore sociale, infine in filosofo della cultura (Kulturphilosoph, dicono i tedeschi). La cosa strana è che non ho mai percepito un effettivo cambiamento nel mio modo di pensare. È come se avesse indossato un diverso abito, pur restando un compositore. Già nel 1973 in Musica-società:
Oggi il lavoro di 'composizione' si estende alla società. [...]
'Comporre' musica e società, dove quest’ultima è anche soggetto del comporre
”.
Non avevo, allora, ben chiaro che cosa ciò volesse dire (certo non fondare una società di concerti), tanto meno intuivo che cosa si sarebbe potuto fare al di là della musica. Per arrivare a questo dovevo ricevere l’aiuto dei bambini, di tutto il mondo della scuola e, ancora oltre, di una società non ancora invasa dal welfare è disponibile a esperimentare modelli alternativi. Purtroppo, mentre di bambini siffatti ne ho incontrati molti, anche in tempi recenti, scuola e società gli ho visto imbarbarirsi fino all’ingestibilità nei giardini artificiali del benessere mediatico.

domenica 9 ottobre 2011

A proposito di sostituzione...


[Nota editoriale: Eleviamo ad articolo il generoso commento di Bradipo al 'postino' di ieri sabato. Troppo succoso per lasciarlo languire tra le liane dell'oblò]

A proposito di sostituzione...

 Non mi esprimo quasi mai nel tuo blog, caro Boris, perché in genere le cose che scrivi mi stanno bene, e anche se le loro qualità dovrebbero provocare numerose risposte, normalmente sono troppo pigro per farlo (del resto, non a caso mi chiamo 'bradipo' qui). Ma secondo me, la tua descrizione di Boris compositore che si sta man mano sviluppando nei postini degli ultimi giorni non è molto felice perché non è abbastanza vicina a ciò che senz'altro non soltanto io percepisco come "realtà" in questo caso. Anzi, dirò di più: la distanza tra questa tua visione e "i fatti" comincia a diventare irritante. Quando tu parli come epistemologo, filosofo, sociologo, politico, didatta o quel che sia, mi starebbero bene delle prese di posizione anche lontane da quelle mie personali, purché alimentate dai soliti tuoi ragionamenti ben condotti: allora acconsento e taccio. Adesso però ti pronunci su di te come musicista, e dài l'impressione di ragionare bene, ma non lo fai. Qui non posso fartela passare liscia, quindi protesto. Mi spiego.



La storia della volpe e dell'uva vorrebbe suggerire, se ho ben capito, che –nonostante i tuoi sforzi prolungati– i risultati musicali della tua produzione siano di rado a un'altezza che ti pare auspicabile, e che da tutti i ragionamenti sulla tua lenta "disaffezione per il comporre", dal tuo tentativo di attribuire un ruolo di "sostegno dell'eccellenza" anche a quei prodotti compositivi secondo te meno felici e, alla fine, dalla tua spiegazione del proprio malcontento dovuto all'incapacità di dare il meglio di te costantemente – che da tutto ciò il lettore dovrebbe in qualche modo concludere che ci si sarebbe dovuto aspettare da te composizioni di una qualità parecchio migliore (soprattutto negli ultimi anni), le quali però purtroppo non sei stato capace di produrre. 

Ma stiamo scherzando?

 Siamo per caso al corrente di quanto Schubert fosse felice e contento delle cose che scriveva? Abbiamo ragioni di pensare che Bach si congratulasse ininterrottamente per la sua genialità? Sappiamo se Mahler è stato portato dal suo percorso "dove gli sarebbe piaciuto arrivare"? Non penso. Nell'analogia tra il musicista Boris e la favola di Esopo stai sostituendo un argomento valido con uno truffaldino. Lo si capisce quando si va a vedere la morale della favola (cito dalla ormai di nuovo accessibile wikipedia italiana): "È facile disprezzare quello che non si può ottenere". Il ragionamento da te esposto suggerisce: Boris Porena è un compositore mediocre. Semmai aveva la "speranza di raggiungere il livello del più modesto dei Lieder di Schubert", l'ha persa da mo'. E ciononostante non si lamenta di aver conservato le tracce del suo cammino compositivo il cui insuccesso l'ha portato alla sostituzione dell'argomento musicale con un altro. Che bravo. 

Invece no! Sebbene riesca a intravvedere ben tre analogie tra la favola e tutte queste amenità tue, il tuo scivoloso ragionamento conduce all'errore. La prima analogia si osserva tra la favola e la tua ovvia insoddisfazione di aver toccato il tuo "livello massimo" che assai raramente. E sia (come si potrebbe mettere in dubbio questa tua sensazione personale?), ma stai imbrogliando le acque insinuando che la maggioranza dei risultati materiali dei tuoi sforzi siano per questo mediocri. Non ci siamo, Boris.

No, non ci siamo. Che tu ti veda cosí da compositore mi pare già abbastanza triste, ma allora lascia almeno lo spazio alla costatazione della gente –che necessariamente sa giudicare questo assunto meglio di te– che, come del resto commentavo qualche giorno fa, non hai nessun motivo per credere che l'uva sia amara, visto che hai raggiunto regolarmente ottima frutta. Il tuo caso mi ricorda quello di Maurits Cornelis Escher. Anche lui diceva in età ormai avanzata che era tristissimo di non essere riuscito a mettere su carta ciò che aveva visto "nel buio della notte". Suona bene, ma cavolo, guarda un po' la perfezione dei suoi disegni e la stupefacente qualità delle idee sottostanti! 

Del resto è curioso vedere che ti stai sbagliando proprio a proposito dell'argomento musicale. Questo fatto alimenta una delle mie ipotesi preferite, cioè che la musica è ciò che ti definisce di più e che ti sta più vicina anche emozionalmente, perché è proprio in quei casi che il giudizio fallisce più facilmente.

 La seconda analogia si riconduce al tuo più volte ripetuto enunciato curioso che sei riuscito a fare il compositore senza essere in possesso di quasi tutte le qualità che si sospettano necessarie per un tale mestiere. La volpe fa i salti e arriva in alto nonostante il suo fisico che non l'aiuta nell'impresa e che suggerirebbe tutt'altri movimenti. Bé, allora tanto più di cappello per aver acchiappato –contrariamente alla volpe– tanta uva buonissima.


E la terza analogia? Hai mai pensato perché la volpe di Esopo sta provando a mangiarsi l'uva? Non so un millesimo di ciò che sai sugli animali tu, ma secondo me nessuna volpe del mondo aspirerebbe a mangiarsi l'uva. A Esopo non sarebbe costato nulla di piazzare un nido pieno di succulenti uccellini sul ramo di un albero che si sarebbe rivelato troppo alto per essere raggiunto dalla volpe. Allora i suoi salti in alto sarebbero divenuti credibili! Ma cosí la storia puzza. È un caso di sostituzione anche qui. Tu provi a sostituire eventuali ragioni per il tuo disagio personale con la presunta, ma inesistente mancanza di qualità di oggetti reali (le tue composizioni, per intenderci). La volpe invece si comporta semplicemente in modo assurdo da più di un punto di vista. 
Magari c'è di meglio ogni tanto, Boris. Ma consolati con la volpe: c'è sempre di peggio! La morale della favola: non ti sottovalutare. Hai ottenuto tutto.




Bradipo

sabato 8 ottobre 2011

Processi di sostituzione

[216]
Mi viene il sospetto che i discorsi dei postini precedenti altro non siano che una parafrasi della storia della volpe e dell'uva.

Anche se fosse?

Vorrebbe dire che il malcontento ha stimolato il mio pensiero a costruirsi una linea difensiva capace di resistere anche ad attacchi provenienti dall’interno.

Da prima assai che smettessi di scrivere musica, mi andavo preparando un’attività ‘seconda’ che mi permettesse di sostituire quella primaria di ‘compositore’. L’aggancio con quest’ultima era assicurata dalla pratica compositiva (poi promossa a culturale) di base, già iniziata nel ventennio precedente. Dalla pratica culturale di base si è sviluppata nel corso degli anni l’Ipotesi metaculturale (IMC) con i molteplici filoni didattici, pedagogici e epistemologici che ormai i frequentatori di questi postini conoscono. IMC e attività derivate hanno un po’ alla volta e oggi definitivamente e anche emotivamente rimpiazzato la composizione musicale. Il cammino è del tutto analogo a quello poc’anzi descritto. IMC, una renarrazione de “La volpe e l’uva”.

Il risultato mi induce a vedere in questi processi di sostituzione uno dei più efficaci strumenti produttivi a nostra disposizione.

venerdì 7 ottobre 2011

E io ho insistito caparbiamente


L'insistenza del trasporto verde/blù, di Judith Krause e Shelley Sopher (2007)
[215]
Sì, è vero, a un certo punto ho deciso di smettere (di scrivere musica) ma a ottant'anni suonati ed era già da molto che il calo delle forze si era fatto sentire e anche la speranza di raggiungere il livello "del più modesto dei Lieder di Schubert" era ormai tramontata. E io ho insistito caparbiamente.

Eppure, a cose fatte, non mi dispiace di aver insistito e di aver conservato la testimonianza di tutto un percorso che, se anche non mi ha portato dove mi sarebbe piaciuto arrivare, non mi ha neanche lasciato ai piedi del colle e mi ha permesso di capire quanto occorre per arrivare all’agognato livello.

A dire il vero, non ho mai desiderato di raggiungere un particolare livello, né alto né basso, perché non ‘credo’ nei livelli, soprattutto non credo abbia senso aspirare a quello raggiunto da un altro. Più sensato, aspirare al proprio. Ma questo non lo conosciamo prima di averci provato fino in fondo. E la conoscenza del livello raggiunto da altri non ci serve che di stimolo per innalzare il nostro. E anche l’insoddisfazione che ci assale più o meno regolarmente non la misuriamo sugli altri – anche se così crediamo– ma su noi stessi. Senza conoscerlo, ‘sentiamo’ però quale il nostro livello massimo e il malcontento ci deriva dal non riuscire a toccarlo che assai raramente. Solo a pochissimi è dato di potersi mantenere per lunghi tratti al loro rendimento ottimale. Sciocco rammaricarsi di non essere tra quei pochi.

giovedì 6 ottobre 2011

Non ne sono che il coronamento

214]
Una domanda
Se non sei del tutto convinto di quello che fai, se addirittura non ti piace "come il più modesto dei Lieder di Schubert", perché hai continuato a farlo per una vita intera?

Una risposta
Perché a ogni nuovo inizio ho sperato che fosse la volta buona e mi sono detto: se non è questa sarà la prossima. E così sono andato avanti riempiendo man mano un armadio.

Una riflessione
E ho capito che l’esperienza umana non è fatta solo di eccellenze, anzi, queste non ne sono che il coronamento, sotto il quale c’è il sostegno di migliaia di travi, faticosamente accostate e cementate perché alla sommità non resti traccia di quella fatica.

mercoledì 5 ottobre 2011

Il mio allontanamento dalla nobile arte dei suoni

[213]
In questi giorni Patrizia Conti sta aggiornando il catalogo pubblicato nel libro L'Utopia possibile di Giorgio di Martino, e questo mi dà l'occasione di riguardare le mie composizioni dal 2003 al 2009, anno in cui ho smesso definitivamente l’attività musicale dopo che, nel 2006 l’avevo già interrotta per un anno. Anche se non sono più in grado di leggere la musica al pianoforte, mi rendo ancora conto di ciò che vedo scritto. Così vedo con chiarezza il lento declino delle mie capacità inventive negli ultimi anni, declino che mi sembra giustifichi appieno la mia decisione di smettere. Non so pronunciarmi sulla mia ‘inventiva’ precedente, so solo che, comunque stessero le cose, il declino c’è stato, accentuato ancora nei due anni di ‘falsa ripresa’. La disaffezione per il comporre ha radici lontane, rintracciabili fino negli anni Novanta, quando ho cominciato a dubitare seriamente, non tanto e non solo di me come compositore, ma, assai più in generale, della musica come espressione autonoma della società. Che la musica sia espressione, oltreché del singolo, anche della sua cultura di appartenenza, è opinione ormai corrente; meno chiaro è invece il grado di autonomia che le compete, soprattutto nella fase di massificazione culturale (e di appiattimento delle diversità sul modello euroamericano) che il mondo intero sta attraversando. Non è la prima volta che fenomeni di universalizzazione linguistica si dànno nell’occidente europeo, come anche in altre parti più o meno ampie del nostro globo. Quanto alla musica, basta ricordare il medioevo cristiano o l’età della polifonia rinascimentale o la koinè settecentesca. La novità che mi fa guardare con molto maggior sospetto la koinè rock-pop dei nostri giorni e la collusione con l’industria e il mercato. Comunque, una buona parte dei miei dubbi sulla musica dei giorni nostri ricade su di me, sulla mia incapacità ad accettarla e sulla conseguente, progressiva disaffezione negli anni recenti. Non so se attribuire a questa disaffezione il calo di capacità cui accennavo poc’anzi, o viceversa. Può infatti essere che la crescente difficoltà, anche tecnica, a trovare soluzioni compositive che mi soddisfacessero sia alla base del mio allontanamento dalla nobile arte dei suoni, sulla cui perdurante ‘nobiltà’ ci sarebbe non poco da dire.

martedì 4 ottobre 2011

Temporalità autoferrotramviaria della 'città eterna'

[212]
Nelle fotografie di altri tempi siamo spesso attratti da oggetti su cui non avremmo pensato di fermare la nostra attenzione. Così l’altra sera, scorrendo le immagini di una Roma scomparsa, ci ha colpito una grossa locomotiva a vapore che Thomas non aveva visto per così dire ‘in natura’, di cui però gli avevo parlato più volte. Indotti da questa fortuita immagine, il nostro interesse si è rivolto in genere ai veicoli da trasporto dei decenni passati. Dai tram a cavalli siamo passati a quelli a trazione elettrica, ai vari modelli di autobus, alle automobili delle varie case produttrici, alle biciclette, fino ai compressori stradali, le macchine dei vigili del fuoco e così via. Così per esempio mi sono riaffiorati alla memoria i numeri e le sigle di linee di trasporto urbano oggi indicate in tutt’altro modo, ma soprattutto con tutt’altro percorso. Alcune collegavano il centro a una periferia che nessuno oggi qualificherebbe più come tale, altre ci davano addirittura l’illusione di condurci ‘fuori’, in aperta campagna. Ci si liberava dalla città semplicemente prendendo un dramma; ormai essa ci insegue come un felino la sua preda.

lunedì 3 ottobre 2011

Ancora della Roma scomparsa


Scorcio di Villa Ludovisi, Walter Crane (1875)
[211]
Che cosa ci colpisce di più in una città scomparsa? Certo non le parti che non lo sono. Nel caso di Roma, per esempio, non le chiese e non il Campidoglio o i grandi palazzi nobiliari del cinque-seicento (benché anche questi ci appaiano diversi per il diverso contesto urbano); ma neppure il Foro romano per la sua immobilità millenaria. Ci colpiscono invece le singole mancanze di oggetti che ricordiamo esserci stati come anche la presenza di oggetti non più rintracciabili. Fondamentale è sempre il confronto con il presente. Quando questo per qualche ragione non si istituisce –o perché il tempo trascorso eccede il nostro ricordo, o perché il mutato contesto non lo sollecita– cala la componente emotiva e subentra una ricostruzione solo razionale. Così non posso rimpiangere la splendida Villa Ludovisi, che ho conosciuto solo in immagine, ma potrei oppormi, per analogia, a chi volesse distruggere Villa Doria per speculazione edilizia.

In poche parole, il confronto con il passato può convincerci di quanto sia migliore, più vivibile il presente. Allo stesso tempo dovrebbe servire a farci consapevoli del prezzo pagato per questa migliore vivibilità. E il prezzo, c’è da sospettare che stia diventando troppo alto.

domenica 2 ottobre 2011

Roma scomparsa


La valle del Colosseo, circa 1880
[210]
Ogni cosa cambia fisionomia nel tempo, tant'è che, anche a distanza di pochi anni, stentiamo a riconoscerle o non le riconosciamo affatto. Tanto più quanto più rapidi sono i cambiamenti che le vicende storiche portano con sé e quanto più i luoghi ci sono famigliari. Abbiamo Thomas e io appena scorso su un sito internet alcune serie di fotografie di ‘Roma scomparsa’ risalenti da mezzo secolo a un secolo e mezzo fa. Stante il mezzo secolo che ci divide, le nostre relazioni sono state alquanto diverse: alcune immagini, che per lui non erano che una curiosità archeologica, per me erano pezzi di vita vissuta, altre, che per me appartenevano ancora a un presente solo di poco ampliato, per lui erano preistoriche quanto può esserlo lo scheletro di un dinosauro. Alcune foto mi richiamavano alla mente cose e situazioni descrittemi da mio padre e quindi riferibili anche a cento anni or sono.

Per tutti e due, Thomas e me, c’era comunque un tempo irraggiungibile dalla memoria diretta e infinitamente lontano, e un altro tempo più o meno vicino che sapevamo esserci stato. Mentre però il tempo infinitamente lontano era lo stesso per tutti e due, l’altro, quello vicino, era assai diverso, perfino nella parte trascorsa insieme.

sabato 1 ottobre 2011

Distanza culturale, emotiva, sociale, musicale

[209]
Parlando della Wandererphantasie ho accennato di sfuggita ai Ländler, ai Momenti musicali, ma non alle Sonate, che pure sono, per genere e forma, le più affini a quella.

A mio parere, le Sonate schubertiane sono fra le opere difficili a comprendersi del loro autore. Questo non per colpa sua, che anzi vi profonda a piene mani la sua divina ‘semplicità’. La ‘colpa’ del suo grande e idolatrato vicino di casa, le cui Trentadue Sonate, man mano che vedevano la luce, avevano già il posto prenotato sull’Elicona. È difficile immaginare oggetti più diversi raggruppati in raccolte più differenti. Fin dai primi esempi di uno Schubert ancora adolescente, nulla se non la definizione di genere accomuna le sue Sonate a quelle dell’Altro e ciò dimostra quanto foro fuorvianti siano talora tali definizioni.

Non sono questi postini il luogo più adatto per entrare in particolari musicologici. Bastano comunque due orecchie e un minimo di dimestichezza con i due autori e la musica di quegli anni in genere per rendersi conto della distanza culturale, emotiva, sociale, musicale che separa due Sonate che per caso hanno lo stesso numero d’opera 53 – la cosiddetta Aurora o Waldstein di Beethoven e la Sonata in re maggiore di Schubert… o mi sbaglio e di questa distanza oggi ben pochi si accorgerebbero?