[213]In questi giorni Patrizia Conti sta aggiornando il catalogo pubblicato nel libro
L'Utopia possibile di Giorgio di Martino, e questo mi dà l'occasione di riguardare le mie composizioni dal 2003 al 2009, anno in cui ho smesso definitivamente l’attività musicale dopo che, nel 2006 l’avevo già interrotta per un anno. Anche se non sono più in grado di leggere la musica al pianoforte, mi rendo ancora conto di ciò che vedo scritto. Così vedo con chiarezza il lento declino delle mie capacità inventive negli ultimi anni, declino che mi sembra giustifichi appieno la mia decisione di smettere. Non so pronunciarmi sulla mia ‘inventiva’ precedente, so solo che, comunque stessero le cose, il declino c’è stato, accentuato ancora nei due anni di ‘falsa ripresa’. La disaffezione per il comporre ha radici lontane, rintracciabili fino negli anni Novanta, quando ho cominciato a dubitare seriamente, non tanto e non solo di me come compositore, ma, assai più in generale, della musica come espressione autonoma della società. Che la musica sia espressione, oltreché del singolo, anche della sua cultura di appartenenza, è opinione ormai corrente; meno chiaro è invece il grado di autonomia che le compete, soprattutto nella fase di massificazione culturale (e di appiattimento delle diversità sul modello euroamericano) che il mondo intero sta attraversando. Non è la prima volta che fenomeni di universalizzazione linguistica si dànno nell’occidente europeo, come anche in altre parti più o meno ampie del nostro globo. Quanto alla musica, basta ricordare il medioevo cristiano o l’età della polifonia rinascimentale o la
koinè settecentesca. La novità che mi fa guardare con molto maggior sospetto la
koinè rock-pop dei nostri giorni e la collusione con l’industria e il mercato. Comunque, una buona parte dei miei dubbi sulla musica dei giorni nostri ricade su di me, sulla mia incapacità ad accettarla e sulla conseguente, progressiva disaffezione negli anni recenti. Non so se attribuire a questa disaffezione il calo di capacità cui accennavo poc’anzi, o viceversa. Può infatti essere che la crescente difficoltà, anche tecnica, a trovare soluzioni compositive che mi soddisfacessero sia alla base del mio allontanamento dalla nobile arte dei suoni, sulla cui perdurante ‘nobiltà’ ci sarebbe non poco da dire.