Illustrazione di Rayaan Cassiem
[Dialogante 2] Mi domando perché ho –abbiamo–
scelto per questo ‘progetto’ la forma dialogica.
[Dialogante 1] Strano me lo domando spesso
anch’io.
[Dialogante 2] Forse perché offre dei vantaggi
espositivi: spezza una continuità che può risultare difficile da sostenere; in
un certo senso permette a chi scrive e a chi legge di riposare…
[Dialogante 1] …e di far riposare di tanto in
tanto la mente. Questo succede infatti nei dialoghi reali, quando la parola
dell’altro, specie se conosciuta o prevedibile ci lascia spazio per pensare
alla replica.
[Dialogante 2] Ma nel nostro caso la mente è una
e il lavoro lo fa sempre lei.
[Dialogante 1] Non è necessariamente così. Anche
se fittizio, il dialogante vede le cose da un altro punto di vista, il che
alleggerisce la pressione che grava sul primo.
[Dialogante 2] Spesso poi la struttura dialogica
comporta ripetizioni e varianti più o meno codificate di uno stesso concetto,
quando non espressioni stereotipate di assenso o dissenso. Il tutto facilita, e
non di poco, il lavoro dei dialoganti, cioè dell’unico parlante (o scrivente).
Questo è particolarmente evidente nei dialoghi della classicità a cominciare da
quelli platonici, dove assai spesso almeno uno dei due dialoganti riempie assai
a buon mercato lo spazio riservatogli.
[Dialogante 1] Anche nei dialoghi compresi entro
lavori teatrali di ampio respiro, la scrittura dialogica, oltreché ovvia nel
suo uso, distende nel tempo le sue argomentazioni, favorendone la comprensione
da parte del fruitore.
[Dialogante 2] E che pensi della forma dialogica
inserita in una narrativa come si osserva abitualmente nei romanzi, nelle
novelle e simili?
[Dialogante 1] Non ho mai scritto romanzi e
neppure vere e proprie novelle. Certo, anche le parabole, le storielle e
i postini ricorrono spesso al
dialogo, ma si tratta per lo più di un espediente che non implica una funzione
caratterizzante un personaggio, come nell’epica, grande o piccola che sia.
Ricordo che, quando ero più giovane, ero spesso infastidito dalla
sovrabbondanza di “disse”, “rispose”, “replicò” ecc. e preferivo un bel saggio
filosofico a una pagina di pregevole narrativa (Thomas Mann naturalmente
escluso). Capisco che quei termini sono di fatto ineliminabili, e raccomanderei
agli odierni narratori di far uso di tutta la loro fantasia per evitarli quanto
possibile.
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