535 (15)
Si dice che i vecchi
vivono di ricordi. E, come in tutte le cose che ‘si dicono’, c’è del vero in
questo. Certo, l’anziano, spesso costretto a vita sedentaria, ha poche
occasioni di esperire il mondo nell’azione concreta. Ma anche l’azione riflessa
nella mente non è semplice ripetizione, ma scoperta di un nuovo insospettato,
nascosto tra le pieghe del già noto. Il ricordo supera il ricordato
aggiungendovi l’emozione del ricordare. La memoria attiva la mente tanto quanto
e forse più che l’esperienza diretta. D’altronde anche il ricordo è
un’esperienza, distinta e di tutt’altra natura da quella cui dovrebbe somigliare.
Alcuni postini or
sono, uno dei curatori della serie ha rinvenuto e pubblicato in apertura una
fotografia di Sergio Cafaro al pianoforte, scattata sessantadue anni fa. A Sergio mi
legava già allora un’amicizia fondata, più ancora che sulla professione –Sergio
era pianista e compositore– sulla comune passione per i coleotteri e la natura
in genere. È quindi doppiamente naturale che io abbia di lui e delle
innumerevoli ore trascorse insieme ricordi come di nessun altro. Non solo
dell’amico e compagno di tante cacce più o meno fortunate, ma anche delle
cacce cui non avevo partecipato di persona, ma delle quali mi aveva parlato con
tale entusiasmo e vivezza di particolari, che le ascrivo oggi tra i miei più
stabili ricordi. Alla sua morte, pochi anni fa, scrissi sulla nostra amicizia
una poesiola –credo riportata anche su questo oblò (o in qualche altra parte)– che vorrebbe dare l’idea di
un’amicizia che ci ha mantenuto giovani per un tempo assai più lungo del
dovuto.
Ma la memoria ci
conserva a noi stessi fin da quando articoliamo le prime parole. Anzi, sembra
che la memoria lunga sia più
tenace di quella corta. In effetti anch’io sono particolarmente affezionato ad
alcuni ricordi d’infanzia, frequentemente ricorrenti nel dormiveglia. Così la
corsa di un treno a vapore per la Lüneburger
Heide, di sera, tra boschi alternati a radure, su cui ogni tanto di
intravedevano pascolare piccoli raggruppamenti di caprioli, mentre sopra le
cime degli alberi volteggiavano gli uccelli in procinto di lasciarsi andare su un
ramo per il riposo notturno, presto sostituite dall’oscura silhouette di un
gufo o di un allocco. Oppure, pochi anni più tardi, sotto un tronco
marcescente, l’improvviso brillio dell’elitra di un Carabus o di una Chrysolina;
o anche –ma questo era molto prima– la vista, da dietro l’Alpe di Siusi, del
Sassolungo, più alto della volta del cielo, il bel volo planato di una Limenitis populi sopra il torrente
Gardone.
Che sarebbe la vita
se la memoria non fingesse unità là dove non c’è che pluralità dispersa? Che
sarebbe l’io se la memoria non lo
costruisse pietruzza su pietruzza, alitandoci sopra il soffio
dell’individualità?
1 commento:
Bella questa farfalla
Posta un commento