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Se proibiamo a noi
stessi una crescita infinita, limitiamo cioè la nostra produzione al di sotto
di una certa soglia, non corriamo il rischio di atrofizzare la nostra stessa
capacità produttività facendoci regredire a stadi già superati? Sarebbe così se
la vita del progresso fosse una sola e la crescita si misurasse unicamente
sull’economia e sul progresso tecnologico. La storia non ci dimostra questo, e
forse è più affidabile in ciò che non
dice anziché in ciò che dice. Per molte migliaia di anni le uniche forze su cui
potevamo contare, oltre la nostra, erano quelle animali, sulle altre –il vento,
l’acqua– non c’era da fare troppo affidamento, spesso i danni che producevano
superavano i vantaggi. Sono sì e no un paio di secoli che abbiamo imparato a
servirci di altre fonti di energia. E da allora si sono affacciati seri
pericoli di sopravvivenza.
Tutt’altra cosa per
la crescita del pensiero, che non sembra sottoposto a limitazioni in quanto non
produce inquinamento materiale né altera sensibilmente l’ambiente, almeno fin
quando non viene utilizzato proprio a questo scopo. Poiché la caratteristica del
pensiero umano consiste essenzialmente nella riflessività metaculturale, basta
che gliela conserviamo e potremo, come per il passato, continuare indisturbati
e senza disturbare nella nostra crescita.
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