domenica 19 dicembre 2010

L'epidemia (II)



Si manifestò in una cittadina ai piedi dei Pirenei con un topo trovato morto in un vicolo. Qualche giorno più tardi di topi morti o moribondi se ne trovavano dappertutto. La prima vittima umana si ebbe dopo dieci giorni, presto seguita da molte altre. Non c’era più dubbio: era la peste, anche se a quel tempo si dava questo nome genericamente a varie forme epidemiche. Leggere di più ...

Questa si manifestava con vomito e diarrea o anche con insopportabili cefalee, sangue nelle urine o difficoltà respiratorie. Quali che fossero i sintomi, la morte sopraggiungeva dopo una settimana al massimo. La gente era spaventata e correva in chiesa a chiedere aiuto al Signore. Visto però che l’aiuto non arrivava, pensò di rivolgersi ai gradi intermedi, lì rappresentati dal locale vescovo. Questi però era momentaneamente fuori sede, richiamato –si disse– dal Papa a Roma per urgenti comunicazioni. Al suo posto era rimasto un sostituto, un ometto più spaventato di tutti, che si dichiarava incompetente in fatto di epidemie. Intanto i cittadini continuavano a morire.

Tra questi c’era un giovane, particolarmente sveglio e buon osservatore. Si accorse infatti che molti topi avevano preso a nutrirsi di una certa erba che cresceva sui muri delle vecchie case. Ne catturò alcuni e constatò che, per quanto mostrassero anch’essi, ma più deboli, i sintomi del male, se nutriti con la stessa erba dopo qualche giorno erano guariti. Non solo, ma apparivano più aggressivi e mordaci di prima. Tentò allora un audace esperimento. Fece mordere dai topi un certo numero di malati a vari stadi di sviluppo del morbo. A eccezione di quelli terminali, gli altri si salvarono tutti. Qualche risultato, ma di gran lunga inferiore, l’ottenne anche facendo mangiare ai pazienti l’erba ricercata dai topi. Ne dedusse o che la sostanza benefica dovesse essere iniettata direttamente nel sangue (come accadeva attraverso i denti dei topi), o che fosse necessaria una sua elaborazione ad opera di un organismo animale. Fatto sta che cominciarono ad aversi delle guarigioni, di cui fui informato il vescovo. Temendo per il prestigio suo e della chiesa, costui fece arrestare il giovane che, minacciato di tortura, non ebbe difficoltà a dichiarare la complicità del diavolo, testimoniata dagli occhi rossi e dal ghigno satanico dei topi. Fu condannato al rogo, ma la notte prima dell’esecuzione si presentò a lui il vescovo in persona: “È un paio di giorni che ho un terribile mal di testa. Fammi mordere da uno dei tuoi topi e ti lascerò andare, con in più dieci luigi d’oro se prometti di sparire e di non farti più vedere”. Il giorno dopo si disse che il condannato era stato portato via dal diavolo. Al suo posto fu bruciato un fantoccio di paglia. I topi provvidero a diffondere la loro cura mordendo chiunque gli capitasse a tiro. Il giovane aprì una modernissima farmacia a Parigi.

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