lunedì 20 dicembre 2010

Giacinti

La morte di Giacinto, di Jean Broc (1771-1850) - Museo Rupert de Chièvres di Poitiers

Vedo le sue foglie, lunghe e verde scuro, spuntare a novembre, quando tutt’intorno ci si sta ancora preparando all’inverno. Ai primi di gennaio la pianta è in pieno rigoglio e certi rigonfiamenti terminali preludono… no, sono già i germogli della meraviglia a venire. Questa esita ancora qualche settimana poi, a fine gennaio-primi di febbraio, eccola sbocciare in racemi di fiori blu, di un blu cilestrino che non ha l’eguale nei nostri campi, così come non ha l’eguale il loro profumo, intenso e delicato a un tempo.
È pieno inverno, non di rado sui giacinti posa la neve o li scuote la grandine: quelli però non si scompongono, anche se le foglie cedono al peso e li lasciano offrire ai pochi visitatori alati il loro colore e profumo. Leggere di più ... Tutto questo per quei pochi –qualche piccolo imenottero o dittero–, cui forse si aggiunge un occasionale visitatore umano – che però non li aiuta nell’impollinazione, anzi li coglie per farli isterilire in un vasetto nel soggiorno.

La natura, si sa, non è economa, e resta indifferente allo spreco dei giacinti. Può capitare tuttavia che non restino indifferenti alcuni dei visitatori occasionali, così per esempio colui o coloro che, molti secoli fa inventarono il mito di Apollo e Giacinto, poi ripreso da Ovidio nelle Metamorfosi e fatto oggetto, in tempi a noi vicini, di numerose opere pittoriche. Mozart undicenne ne mise in musica una versione modificata (Salisburgo, 1767).

Ecco la vicenda secondo il mito:

Il giovinetto Giacinto, figlio di Amicla e Diomede, per altri di Pierio e Clio era amato da Zefiro e da Apollo (gli antichi, in fatto di sessualità, non andavano troppo per il sottile). Sembra che Apollo fosse il favorito, giacché accompagnava Giacinto ovunque egli andasse. Zefiro era ovviamente geloso e un giorno che i due avevano dato inizio a una gara di lancio del disco deviò la traiettoria di Apollo facendo sì che il suo disco andasse a colpire la tempia di Giacinto, ferendolo mortalmente. A nulla valsero le arti mediche del dio che, a perenne memoria dell’amico morto, lo trasformò in un fiore dall’intenso colore rosso, come il sangue da lui versato (i giacinti possono essere di vari colori).

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Nelle religioni animiste, politeiste, generalmente in tutte quelle non facenti capo a un Dio unico, il rapporto uomo-divinità-natura è assai più stretto che non in quelle monoteiste, soprattutto se ‘rivelate’. La ‘rivelazione’ infatti presuppone l’uso di un linguaggio che esprima –per lo più un linguaggio verbale– con tutti i limiti che tale esprimibilità comporta. Anche il mito si tramanda attraverso la parola, ma non è questo il suo linguaggio. Ipotesi: il linguaggio del mito è il mito stesso, il cui significato non è esprimibile in altro modo (seppure con altre parole). Così come si osserva nella musica.

1 commento:

Rigobaldo ha detto...

Evviva la mitologia, dunque, con o senza rigonfiamenti terminali!

Cordialità,