giovedì 8 gennaio 2009

Può essere (CCB 3)

La parola alla nostra amica e collaboratrice Claude Cazalé-Bérard (vedere le puntate precedenti) ...

Peut-être/ Può essere

Il poeta francese Claude Vigée che ha appena festeggiato l’ottantottesimo compleanno ci regala come augurio, in questi primi giorni dell’anno, parole pulsanti di vita verso l’“origine futura”.



Car toute chair s’arrache et brûle
et se détruit pour être.
A l’abîme répond
la puissance de naître.

(« Le solstice d’hiver », Mon heure sur cette terre,
Poésies complètes 1936-2008, Paris, Galaade, 2008, p. 531)

Perché ogni carne si strappa e arde
e si distrugge per essere.
All’abisso risponde
la potenza del nascere.

(traduzione nostra)

Parole del poeta che condensano ritmicamente il messaggio di un’opera compiuta come una poetica del vivere, come la “quête” di una pienezza esistenziale della parola, come la realizzazione nel tempo della trascendenza, come l’inveramento dell’eterno nel presente dove lottano e si congiungono passato e futuro, dove convergono finito ed infinito, dove combaciano in una estrema stretta creatrice umano e divino.

Jacob affronte l’ange et dicte la paix sainte –
La récompense est pour celui qui sait dompter le temps.
*
La secrète, ineffable, exaltante présence
Que nul homme n’affronte et ne peut éviter,
Celle qui porte en l’âme une sérénité
Longuement attendue au milieu du silence.

(« Trois nocturnes », p. 89)

Giacobbe affronta l’angelo e detta la pace santa –
La ricompensa è per colui che sa domare il tempo.
*
La segreta, ineffabile, esaltante presenza
Che non un uomo affronta né può evitare,
Quella che mette nell’anima una serenità
Lungamente attesa nel mezzo del silenzio.

(traduzione nostra)

Per un incontro più completo con Claude Vigée, si vedano le pagine a lui dedicate sulle riviste online «Testo e Senso», 8 - 2007 e «Temporel», 6 - 2008, Poésie, existence, spiritualité.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Shalom, Claude & Claude, benvenuto all'uno e ben tornata all'altra!

Con meditata scelta, nella quale si congiungono valore artistico e pensiero. Pure opportuna, giornalisticamente parlando: trovo singolare e coraggioso portarci qui un pacifista ebreo di rilievo proprio nei giorni nei quali la Tsahal israeliana sta martellando la striscia di Gaza senza misericordia.

Riprenderei, col tuo permesso, la gustosissima citazione della Sachs con la quale hai aperto la tavola rotonda con Claude Vigée, “Ich habe kein Land und im Grunde keine Sprache. Nur die Inbrunst des Herzens, die über alle Grenzen hinwegeilen will.
Portando questa pulsione per "varcare tutte le frontiere" dal contesto specifico dove tu la citi -la traduzione-, al più generale della trascendenza delle singole realtà culturali locali.

Come mai è capitata questa enigmatica deriva dell'anima ebraica, che ha portato ad alcuni dal trovarsi vittime verso il diventare carnefici?

Non vorrei affatto semplificare, non vorrei mettere sullo stesso piano i per me solidi valori (malgrado tutto) dello stato di Israele con il 'buco nero' etico, politico, giuridico che scorgo nel caos palestinese. Soltanto vorrei pensare, oltre le stesse frontiere che menziona Sachs, alle persone semplici, "senza paese" e forse "senza linguaggio", sulle quali si sta infliggendo una sofferenza atroce.

Grazie per l'opportunità di parlarne. Pace.

Anonimo ha detto...

Salve gentile Anonimo,
ci affascina il discorso ma non ci è del tutto chiaro.
A quale tavola rotonda lei si riferisce? Non conosciamo il contesto specifico dove lei cita le parole della Sachs in traduzione e quindi ci sfugge il senso dell'insieme. Così come ci sfugge il perchè lei chiama 'buco nero' il 'caos' palestinese. Se è un 'caos' di chi è la responsabilità?

Rigobaldo ha detto...

Salve, gentile Paola,

mi scuso, non so quale disguido abbia fatto che il mio precedente commento risulti come "anonimo".

Sicuramente sono stato molto oscuro. Scrivevo in preda ad idee e sentimenti in forte contrasto.

La tavola rotonda è quella indicata dal riferimento del proprio post originale in Testo e senso. Come si vede, è un discorso impostato sulla traduzione ...

Chiamo 'buco nero' il caos palestinese -che arriva da molto prima di questi tragici giorni- per dipingere una situazione dove divampa una guerra interna tra fazioni altrettanto feroce di quella lanciata da Israele, dove la corruzione dilaga, dove è stata abbracciata una scomessa politica per la violenza, dove non vengono rispettati i diritti individuali più elementari ...

Responsabili non ne mancano, altro ché. La antica potenza coloniale; Israele, come oppressore odierno; le potenze contemporanee, in primis gli USA, in quanto consenzienti; Hamas, in quanto fautrice dichiarata della strategia del "quanto peggio, meglio"; Fatah, che sta guardando il disastro con palese soddisfazione, in quanto rappresenta un colpo assestato al suo nemico principale (Hamas, ovviamente); i paesi dell'area, ciascuno dei quali ha scelto la propria pedina da giocare nella guerra, e la sta giocando a proprio piacimento, per i propri fini, incuranti della tragedia. Sicuramente si possa allargare la lista.

Quando si compie un massacro di questa portata, evidentemente garba a molti ...

Cordialità,

Anonimo ha detto...

Grazie per lo spunto Rigobaldo.
Sarebbe interessante aprire una piccola discussione sul blog rispetto a quello che sta avvenendo a Gaza,
io certezze in merito non ne ho, ne mi sento di schierarmi da una parte o dall'altra, ma sono molto preoccupata non solo per la situazione di chi in quei luoghi ci è nato e ci vive, ma anche per la nostra incapacità di reagire ad un evento tanto grave. Siamo stati “anestetizzati” dall’informazione in modo da non essere più in grado di sorprenderci e indignarci? Penso per esempio alla reazione che provocarono in Europa e in America le prime immagini della guerra del Vietnam…
Sicuramente la situazione è molto complessa per liquidarla in poche frasi e, non essendo una specialista, non voglio improvvisare analisi. Quello che mi colpisce molto però è il basso livello di conoscenza della questione palestinese- israeliana da parte di gran parte della popolazione, quella stessa opinione pubblica che si schiera con molta facilità da una parte o dall'altra del conflitto...la confusione linguistica di parole come semiti, sionismo, ecc.. contribuisce alla confusione generale.
Quello che mi chiedo è se è conveniente continuare a pensare a quella parte del mondo come una terra abitata da due popoli in guerra…non sarebbe più conveniente considerarli invece un unico popolo diviso in fazioni (politiche, religiose,..) e classi sociali??
V

Rigobaldo ha detto...

Gentile V,

concordo sulla pertinenza della discussione; proprio con quell’intenzione ho fatto quel primo commento.

Certezze non ne ho. Nessuna.

Dubito che l’attacco crescente in atto da due settimane sia “un evento”, malgrado l’evidenza di crimini di guerra che si sta cumulando (e quando il Wall Street Journal parla di crimini di guerra d'Israele, vuol dire che siamo proprio alla frutta). Qualificandolo così sembrerebbe che si concedesse “normalità” alla quotidianità israeliano-palestinese quando non c’è guerra aperta -mentre non c’è nulla di più lontano dalla normalità civile-.

Soprattutto, ci porterebbe a pensare che la “soluzione” sia un alto il fuoco, invece di un ripensamento in profondità delle relazioni internazionali e dei criteri per i quali si considera ad un paese degno di partecipare nella comunità di nazioni.

L’attacco mi sembra disastroso per Israele: per il marasma etico che evidenzia nella sua classe dirigente (che compie una vera fugga in avanti), per il suo discredito politico e giuridico davanti alla comunità internazionale, ma anche perché rinnova una generazione intera di odio, e quindi in ultima istanza peggiora il problema della sicurezza dello stato di Israele.

La comunità internazionale, ad oggi, appare impotente davanti ad Israele (supponendo, che è molto supporre, che ci fossero tra di noi dei chiari criteri e motivazioni per intervenire). Probabilmente le uniche probabilità a medio termine vengano dalla nausea all’interno della società israeliana, che è l’unica della regione dotata di strumenti (libertà di stampa, sistema costituzionale, garanzie giuridiche) per esternarla e trasformarla in cambiamenti politici.

Il suo punto di vista sull’unico “popolo” ha un solido supporto genetico; infatti entrambi gruppi formano parte di un unico ceppo. Peccato che le unicità si fermino lì, visto che i direttamente coinvolti si considerano in totale opposizione (i “moderati” si considerano in guerra, gli “estremisti” non considerano il diritto di esistere della controparte, quindi non riconoscono neanche la loro umanità).

Penso (citazione a memoria, non garantisco) che era Thomas Mann a dire che ogniqualvolta si menziona il concetto di popolo, è per compiere uno scempio. La vedeva lunga.

Cordialità,