martedì 27 gennaio 2009

Giornata della Memoria (CCB 4)

Nel giorno della memoria riprendiamo, da La Domenica della Nonviolenza (Numero 200 del 25 gennaio 2009), un brano dell’intervista di Philip Roth a Primo Levi dal titolo “L'uomo salvato dal suo mestiere”, poi pubblicata da Primo Levi in Conversazioni e interviste 1963-1987, Einaudi, Torino 1997, pp. 84-94, originariamente apparsa con il titolo “A Man Saved by His Skills” su «The New York Times Book Review» del 12 ottobre 1986 ed in traduzione italiana su «La Stampa» del 26 e 27 novembre 1986]

- Philip Roth: Se questo è un uomo si conclude con un capitolo intitolato Storia di dieci giorni, nel quale tu descrivi, in forma di diario, come hai resistito dal 18 al 27 gennaio del 1945 tra un piccolo manipolo di malati e moribondi nell’infermeria improvvisata del campo, dopo la fuga dei nazisti verso Ovest con circa ventimila prigionieri «sani». Quel racconto mi suona come la storia di Robinson Crusoe all'inferno, con te, Primo Levi, nei panni di un Crusoe (2) che strappa ciò che gli serve per vivere ai magmatici avanzi di un'isola irriducibilmente spietata. Ciò che mi ha colpito in quel capitolo, come in tutto il libro, è quanto il pensare abbia contribuito a farti sopravvivere, il pensare di una mente pratica, umana, scientifica. La tua non mi pare una sopravvivenza determinata da una animalesca resistenza biologica o da una straordinaria fortuna, ma radicata semmai nel tuo mestiere, nel tuo lavoro, nella tua condizione professionale, nell’uomo della precisione, nell’uomo che verifica esperimenti e cerca il principio dell’ordine, posto di fronte al perverso capovolgimento di tutto ciò che per lui era un valore. Sì il pezzo numerato di una macchina infernale, ma un pezzo numerato con un'intelligenza metodica che deve sempre «capire». Ad Auschwitz dici a te stesso: «penso troppo» per resistere, «sono troppo civilizzato». Ma secondo me l’uomo civilizzato che pensa troppo è inscindibile dal sopravvissuto. Lo scienziato e il superstite sono una cosa sola.

- Primo Levi: Benissimo! Hai colpito nel segno. È proprio vero che, in quei memorabili dieci giorni del gennaio 1945, io mi sono sentito come Robinson Crusoe, ma con una importante differenza. Robinson si era messo al lavoro per la sua individuale sopravvivenza; io ed i miei due compagni francesi eravamo consci, e felici, di lavorare finalmente per uno scopo giusto e umano, quello di salvare le vite dei nostri compagni ammalati. Quanto al perché della sopravvivenza, è una questione che mi sono posto più volte, e che molti mi hanno posto. Insisto: regole generali non ce n’erano, salvo quelle fondamentali di entrare in Lager in buona salute e di capire il tedesco. A parte questo, ho visto sopravvivere persone astute e stupide, coraggiose e vili, “pensatori” e folli (ad esempio, quell’Elias che ho descritto in Se questo è un uomo). Nel mio caso personale, la fortuna ha avuto un ruolo essenziale in almeno due occasioni: nell'avere incontrato il muratore italiano a cui ho accennato prima, e nell'essermi ammalato una volta sola, ma al momento giusto. Tuttavia, quello che tu dici, e cioè che per me il pensare, l’osservare, è stato un fattore di sopravvivenza, è vero, anche se a mio parere ha prevalso il cieco caso. Ricordo di aver vissuto il mio anno di Auschwitz in una condizione di spirito eccezionalmente viva. Non so se questo dipenda dalla mia formazione professionale, o da una mia insospettata vitalità, o da un istinto salutare: di fatto, non ho mai smesso di registrare il mondo e gli uomini intorno a me, tanto da serbarne ancora oggi un'immagine incredibilmente dettagliata. Avevo un desiderio intenso di capire, ero costantemente invaso da una curiosità che ad alcuni è parsa addirittura cinica, quella del naturalista che si trova trasportato in un ambiente mostruoso ma nuovo, mostruosamente nuovo.

Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino": Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

A cura di Claude Cazalè Berard .

1 commento:

Anonimo ha detto...

Molto interessante questa corrispondenza