domenica 13 marzo 2016

Tratta XXXVI.3 – …una navigazione a vista nell’infinito mare dell’essere…


[Dialogante 1]  Gli uomini sentono da sempre un prepotente bisogno di affermarsi e, poiché si sono presto accorti che le prestazioni fisiche non sono sufficienti, hanno culturalmente favorito lo sviluppo della mente, nella convinzione che è il cervello e non qualche altra parte del corpo a soddisfare questo loro bisogno.
[Dialogante 2]  Se ho ben capito, stai riconducendo l’enorme sviluppo della mente nella specie umana al normale processo evolutivo secondo il modello darwiniano.
[Dialogante 1]  Precisamente. Avremmo così una supervalutazione innestata su quella del corpo: l’evoluzione della mente, espressa nella ‘cultura’.
[Dialogante 2]  Tutto bene, anche se difficile da dimostrare. Ma come si sarebbe sviluppato nell’uomo questo ‘prepotente bisogno’ di autoaffermazione?
[Dialogante 1]  Per ipertelia, a partire dall’istinto di sopravvivenza comune a tutto il vivente, al punto di potersi identificare con esso.
[Dialogante 2]  Il tiro oltre il bersaglio, una manifestazione della casualità, cioè di uno degli ingredienti fondamentali del modello evolutivo di Darwin. Cioè l’ipertelia avrebbe costruito sul normale istinto di sopravvivenza un ulteriore bisogno di affermazione a scapito di altri, un desiderio di prevaricazione che a sua volta avrebbe incentivato lo sviluppo del cervello con una sorta di feedback positivo. L’ambiente avrebbe poi fortunatamente agito da freno evitando fin ora l’esito catastrofico innestato da questo tipo di feedback. Ma fino a quando l’ambiente riuscirà a proteggerci?
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[Dialogante 1]  Ma torniamo a noi. Il bisogno di autoaffermazione, una volta innescato, si sarebbe riproposto (uso il condizionale a sottolineare il carattere ipotetico di questa ricostruzione) a vari livelli organizzativi, da quello della persona a quello del clan, della tribù, della nazione.
[Dialogante 2]  Con l’ingrandirsi dei livelli si sono manifestati altri criteri distintivi, ciascuno in grado di assemblare altri gruppi di individui, tutti sottoposti alla medesima pressione selettiva fondata sulla prevaricazione, non più del singolo o del piccolo clan ma di intere nazioni, razze, religioni. Si è così sviluppata una società umana violenta, concorrenziale, fatta di padroni e servi, vinti e vincitori, una società di simili ma diseguali, nella quale pochi comandano e molti ubbidiscono in cuor loro pensando di passare quanto prima dalla parte di coloro che comandano.
[Dialogante 1]  Dal canto suo la mente non ha fatto altro che mettersi al servizio di questo ‘sviluppo’, provvedendolo di modelli, teorie, filosofie atti a sostenerlo, fino a farlo diventare il centro propulsivo della nostra specie…
[Dialogante 2]  … ma al tempo stesso la trappola mortale che difficilmente le riuscirà di evitare se continuerà a fidarsi di quel centro.
[Dialogante 1]  Abbandonarlo così per una navigazione a vista nell’infinito mare dell’essere non è cosa consigliabile finché un’opportuna mutazione mentale non si abbia rieducato ad una realtà alquanto diversa…,
[Dialogante 2]  … o meglio alla nostra stessa realtà, vista però con occhi diversi. Non è il mondo che va cambiato, come da millenni stiamo tentando di fare, ma la nostra mente…
[Dialogante 1]  … che ce lo mostra e ci mostra anche entro che limiti possiamo cambiarlo.
[Dialogante 2]  E tu credi che questi limiti li abbiamo superati?
[Dialogante 1]  Sì e non di poco, come il mondo stesso ci dice con la sparizione delle specie animali, i cambiamenti climatici e tutti quei fenomeni di cui si parla da tempo e insistentemente.
[Dialogante 2]  Ma, se sappiamo di averli superati, quei limiti e per giunta ci vantiamo della nostra ‘superiorità’, come può essere che accettiamo senza intervenire la stupidità dei nostri comportamenti volti unicamente allo ‘sviluppo’ economico e del welfare?
[Dialogante 1]  Semplice: perché la cultura ‘globalizzata’ secondo quel modello ci ha reso ciechi e sordi nei confronti di altri modelli ma soprattutto ci sta impedendo la ricerca o la costruzione di nuovi.

[Dialogante 2]  Tanto peggio per i ‘noi’ di domani.

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