domenica 22 gennaio 2012

La nostra fragilità


A Mezza Strada (Half Way Through), 2006, di Peter Callesen
Carta non-acida in formatto A4 di 115 g/m2, matita e colla
[301]
Fermiamoci però alla nostra singolarità umana, per la quale abbiamo inventato un concetto fino allora inedito tra i viventi: il concetto dell’io, collettore di infiniti atti percettivi, appercettivi, distintivi, associativi, produttivi ecc. Gli atti, in quanto propri, anche se in varia misura, di tutta la materia vivente, precedono di molto la formazione dell’io, cui spetta la funzione agglutinanti, poi unificante dell’io ‘umano’. Non possiamo escludere infatti altre forme agglutinanti affini al nostro io, anche se non coincidenti con esso (ad esempio l’io sovraindividuale esprimentesi nella tribù e, in un modo assai più cogente, nella società degli insetti).

Quanto all’io individuale, specifico probabilmente di Homo sapiens, almeno nella sua forma attualmente più evoluta, si tratta di un’‘invenzione biologica’ responsabile di due opposti orientamenti:
  • moltiplicazione dei centri esplorativi sui rapporti tra la nostra specie e l’ambiente,
  • conseguente sovrastima dell’individuo, quasi che l’atto esplorativo significasse automaticamente presa di possesso.
Mentre il primo orientamento, lasciando di fatto immutato (se non per quel tanto che ogni atto osservativo muta l’oggetto osservato) il rapporto specie-ambiente, il secondo –‘la presa di possesso’– non solo lo alterava pesantemente, ma, preludeva alla sua catastrofica rottura.
Ed è abbastanza chiaro chi ne uscirà con le ossa rotte: tutti e due con la differenza che l’ambiente con la sua plurispecificità è indefinitivamente in grado di rigenerarsi, avvantaggiandosi anzi dell’avvenuta distruzione, mentre la specie singola, come qui Homo sapiens, ha poche probabilità di ricostituirsi nella sua singolarità.

In altre parole, il fatto di essere ‘singolare’ (sia come specie, sia come individuo) ci investe di grandi responsabilità che possono farsi per noi motivo d’orgoglio, come anche banco di prova per la nostra fragilità. Su questo investimento si giocano il nostro successo o il nostro fallimento. Di ciò dovremmo avere sempre coscienza quando ci autoproclamiamo figli di Dio e signori del Creato.

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