lunedì 9 marzo 2009

Parabola - ' Il Pacifista '


Ovunque si trovasse, perorava la causa della pace.
Anche là, anzi soprattutto là, dove non si voleva sentirne parlare: negli ambienti militari, in quelli di potere, o di grossi interessi da difendere, tra gruppi di ribelli, di ideologi rivoluzionari, ecc. E c’era chi lo ammoniva, chi lo minacciava pesantemente, chi lo arrestava o bandiva dal suo territorio. Era stato rapito un paio di volte e aveva subito tre attentati ai quali era fortunosamente scampato con lievi ferite.
Lui però insisteva fino ai limiti del paradosso, come quando si interpose come pacificatore tra due coniugi che si erano traditi allegramente fin dal giorno del matrimonio e ora litigavano per questioni di eredità, o quella volta che volle mettere pace nel bel mezzo di una sparatoria tra bande di mafia. Nell’insieme si era fatto più nemici che amici nonostante la sua battaglia per la pace ricevesse molte adesioni nominali. Ma era appunto una ‘battaglia’ e questa contraddizione, seppure non sempre chiaramente avvertita, finiva per sgretolare la sua azione e indebolire la sua parola.
Di questo lui si accorgeva, ma non sapeva come porvi rimedio. Un giorno in cui cercava di mettere pace tra un laziale e un romanista scaricò su di sé la loro rivalità, riuscendo a metterli momentaneamente d’accordo nel farsi picchiare da tutti e due. Ma non era questo che intendeva per ‘pace’. Si prese qualche settimana (quelle che gli prescrissero i medici dell’ospedale) per riflettere e ne uscì radicalmente cambiato, non nell’idea di fondo, ma nella strategia per realizzarla.
Decise infatti di non parlare più di ‘pace’, soprattutto in presenza di forti competizioni. Parlò invece al fine di comprendere le contrapposte ragioni, anche quando queste sembravano dettate da egoismo, avidità, palese ingiustizia. Parlava con una parte e con l’altra fino a non riuscire più a prendere posizione. A quel punto si sentiva pronto per un’opera che non era ancora la pacificazione, cui un tempo aveva mirato, ma era forse qualcosa di più. Cominciava a vedere nella ‘pace’ una sorta di immobilismo senza storia, senza la speranza di un cambiamento, di un futuro. Una parola, dolce all’orecchio, ma il cui significato si perdeva man mano che la mente cercava di penetrarlo. Si accorse così che molte parole che suonavano ‘bene’ ad un ascolto distratto —‘buono’, ‘bello’, ‘giusto’, ‘vero’...— restavano solo ‘suono’ se vi partecipava la mente. Reciprocamente, anche le parole di segno opposto —‘cattivo’, ‘brutto’, ‘falso’...— impallidivano fino a diventare evanescenti. Pensò così di reclamizzare non più la pace ma il pensiero. E se la pace, come continuava a credere, era non solo una parola ma una conseguenza necessaria del pensiero, non ci sarebbe stato più bisogno di parlarne.
Non ebbe particolare successo, ma non gli capitò più di essere picchiato dai suoi interlocutori.

Boris Porena

La pace intesa come conseguenza di qualcosa più che come 'base per costruire'?

5 commenti:

Anonimo ha detto...

La riflessione di Boris sulla pace, sotto forma di parabola, ancora una volta sconcerta e sconvolge per la profondità e la lucidità dell'analisi: appunto perché fa dell'impotenza della pace ad imporsi, della sua insufficienza a sedare i conflitti per la sua inevitabile estraneità ai moventi, il pretesto a tentare di capovolgere l'ordine dei fatti e dei ragionamenti... Il compenetrarsi della ragioni dell'uno e dell'altro fino al punto di non saper più da che parte sono la ragione e il torto, è sicuramente la strada per costruire, dare vita a qualcosa che potremmo chiamare pace, ma che è una situazione, o una condizione del tutto inedita e imprevedibile nel suo divenire, che non appartiene più né a l'uno né all'altro, che nessuno può rivendicare contro l'altro. E' un po'il tipo di relazione, di processo creativo che Edgar Morin descrive quando l'interagire dialettico tra "ordre" (ordine) e "désordre" (disordine), nella natura, produce "organisation" (organizzazione).
Claude

Boris Porena ha detto...

prova boris. ciao

Il Signor A. ha detto...

Salve a tutti dal Signor A.

Ho letto la parabola del Porena qualche giorno fa, ma solo ora ho tempo di scrive qualcosa...
Non c'è che dire, la parabola fa riflettere. La mia attenzione è caduta sul concetto di 'pace' come condizione per costruire qualcosa piuttosto che 'pace' (come spesso sentita e interpretata da tutti) come punto di arrivo. Spesso infatti come l'autore suggerisce queste parole, piacevoli all'orecchio, che conosciamo bene ci anestetizzano bloccando la mente...forse questo non accade con le sole parole ma con tutte le cose che i nostri sensi percepiscono e che identificano come 'qualcosa', questi 'qualcosa' diventano presto abitudini e questo chiaramente avviene mentre noi cambiamo e quello che sta intorno cambia... Pensiamo al linguaggio che impariamo da quando siamo bambini, ce lo portiamo dietro magari con la comprensione che avevamo allora....Effettivamente quindi quello che penso ora è il fatto che dovremmo stare più attenti con lo sbandiarare valori e parole sacre, almeno prima riflettiamoci, la loro validità rimarrà comunque vera in un determinato spazio - tempo, far diventare questa riflessione importante nella nostra vita ci regalerà nuove sfumature rendendoci più aperti a percepirle...come diceva qualcuno forse il problema è proprio il verbo essere che radica sin da piccoli il nostro modo di pensare su cose che sono o non sono...ma se le cose cambiano, non sono per più di tanto...Si, oggi sono sognatore!

Ad ogni modo volevo aggiungere una cosa...Lo stesso effetto delle parole stantie ce lo hanno i simboli politici, le immagini di cantanti e condottieri, i simboli delle istituzioni...in via preventiva dovremmo stare attenti ogni qual volta ci viene presentato un simbolo! Ovviamente, non discrimino totalmente i 'simboli' purchè uno ci rifletta e sa cosa sta facendo!
Un sempre più scocciato Signor A.
Il Signor A.

un attimo di più ha detto...

Lume di Mandela

Nata da un soffio di vitale energia
straniera ai porti di ordinaria follia,
aspettavo te,anima celeste.

In umile gabbia lasciasti sgomenti,
lo sguardo trafitto di uomini e donne
che tu partoristi di mano violenti,
candela di sogni respiri,
tormenti.

Confini d'amore e sponde infernali
d'amaro lambiti sorrisi ancestrali
nell'ombra di un suono,
la furia del vento
risponde ad un battito
fondo di ali.

Un uomo tradito nel volo d'Oriente
or trema con gemiti d'alveo materno,
funesto è codesto pianeta di guerra,
se il sangue non mesce colore fraterno.

Lume codardo dischiuso al tramonto
risveglia le sorti del grande pensiero
nell'alba di un mondo,
con umile afflato,
risorgi Mandela
candela di pace.

Nadia Lisanti

Rigobaldo ha detto...

Gentile Sig. A,

Aggiungo qualche impressione da mescolare alla Sua crescente scocciatura.

Si dice comunemente che 'la peggior pace sia da preferirsi alla miglior guerra'.

Ma poi, un testo così 'quotato' come il Vangelo, dice il protagonista ... "Pensate che Io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione." (Luca, 12, 51).

Da una parte, ripugna il concetto, la sofferenza, la distruzione; dall'altra parte ... siamo troppi!

Insomma, chiedo scuse per aumentare il grado di confusione di questo thread.

Cordialità,