giovedì 28 settembre 2017

Tratte XLII.2 – De me – Anno 1957



Nel 1957 precisamente con la cantata (in origine chiamata Lied) per soprano, baritono coro e orchestra Der Gott und die Bajadere [1] su testo di Goethe, si chiude la mia prima fase di compositore musicale, interamente nel segno del neoclassicismo stravisnkiano con sensibili imprestiti hindemithiani.
Lo splendido testo mi aveva letteralmente stregato, infondendomi un entusiasmo compositivo mai più esperimentato nel linguaggio dei suoni – e ritrovato forse solo più di quarant’anni dopo nella stesura verbale di IMC, un’ipotesi per la sopravvivenza. [2] Non so, ovviamente, se a quell’entusiasmo compositivo abbia corrisposto un risultato altrettanto entusiasmante, ma la cosa mi lascia abbastanza disinteressato: quell’entusiasmo ho avuto la fortuna di trovarlo, e che si può volere di più? La prima esecuzione ebbe luogo a Torino, con Magda Laszlo meravigliosa interprete della bambina-bayadere, e dal basso James Loomis, narratore-Mahadöh, per l’ottima direzione di Ettore Gracis e con la partecipata accoglienza del pubblico. Nel mezzo secolo seguente non mi è più capitato di scrivere musica con maggior convinzione, merito ovviamente dei miei modelli, di Goethe e dell’aproblematico linguaggio tonale da me scelto. A proposito del quale l’attributo ‘aproblematico’ ha tuttavia bisogno di una correzione. In quegli anni – i primi tentativi risalgono a prima del 1953 – avevo infatti coltivato, come molti colleghi, l’utopia di coniugare l’asprezza della tecnica seriale (dodecafonica soprattutto) con la piacevolezza della tonalità così da soddisfare ambedue le esigenze compositive cui tenevo: il rigore strutturale e il desiderio di conservare alla musica la sua funzione comunicativa. Ne era nata quella che molti anni dopo avrei chiamato ‘modulazione culturale’ tra due linguaggi pressoché incompatibili. Per parte mia intravedevo questa possibilità di modulazione soprattutto in una gestione semplice ma razionale del parametro durata a tutti i livelli: notali, fraseologici, formali. Ricordo che lavoravo col righello a grandezze numeriche, ma penso che nessuno se ne sia accorto. Allora perché? Per ‘sgravio di coscienza’ avrebbe detto Mann. In realtà perché mi piaceva così.



[1]           CBP-IIa:1, Der Gott und die Bajadere, cantata per baritono, soprano, coro (soprani, alti, tenori, bassi), due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, quattro trombe e archi. 15.IV.57. Testo di J. W. Goethe. Suvini Zerboni 1966.
[2]           Vedi [10a] Libro I – Esposizione di IMC e di alcuni suoi antecedenti e conseguenti (1999), appartenente al Volume III L’Ipotesi Metaculturale – Un’ipotesi per la composizione delle diversità, ossia per la sopravvivenza nelle Indagini metaculturali.

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