venerdì 9 aprile 2010

Parla un'echidna



Dicono che assomiglio a un riccio, o un istrice, per via delle spine, (che poi non sono altro che pelli induriti) ma quanto a dimensioni non ci siamo proprio, a prescindere da tutto il resto, becco, cloaca, uova ecc. non c’è dubbio, però, che una certa somiglianza c’è, forse più quel riccio e coll’istrice ... Ma perché sono io che dovrei somigliare a loro e non, viceversa, loro somigliare a me? E non è la stessa cosa? –domanderà qualcuno– ci somigliamo basta. Certo, la si può vedere anche così, ma ci sono questione di priorità da rispettare ... Noi siamo monotremi, quelli sono placentati, che è come dire gli ultimi arrivati ... è pur vero che quelli che c’erano classificato e dato un nome lo hanno fatto di recente perché prima non ci conoscevano, come non conoscevano neppure la nostra terra ... E, prima ancora, non c’era nessuno che ce conoscesse? Ovviamente qualcuno c’era, ma non aveva ancora ‘fatto storia’ ... Qualche graffito, qualche pittura rupestre ... poi, i nostri e scheletri fossili, senza nessuno che li studiasse ... Leggere di più ...


Eh già, perché le cose esistono solo se se ne parla ... almeno così credono quelli che hanno inventato la parola. Ma noi –e in questo anche i placentati la pensano come noi monotremi– di essere esistiti da molto prima che qualcuno ci nominasse. Ma chi era esistito, se neppure se ne conosce il nome?

Comunque, non è di questo che volevo parlare e neppure le questioni di priorità su chi somiglia a chi; se è vero, come lo è, che i placentati hanno copiato molte delle forme già sperimentate con successo da noi monotremi e dai marsupiali, nostri immediati successori, è chiaro a chi va la qualifica di priorità. C’è però da domandarsi se questa qualifica è da valutarsi positivamente o negativamente. Si potrebbe sostenere la venerabilità di chi è venuto prima e ha accumulato maggiori esperienze di vita ... Ma, se questo può valere per il singolo individuo, non di certo per la vita nel suo insieme, che anzi accumula il suo passato nel genoma dei viventi, per cui, paradossalmente, l’ultimo venuto e più vecchio ma anche il più progredito, e noi monotremi, proprio per essere venuti prima, abbiamo conservato i caratteri arcaici della nostra infanzia. La questione risulta ancora più ingarbugliata se si considera il fatto che gli organismi viventi danno il meglio di sé da giovani, quando la senescenza non è ancora intaccato l’ ‘inventiva biologica’, se così si può dire. Ma noi monotremi, la nostra inventiva biologica l’abbiamo conservata nel luogo da cui siamo nati e nella cloaca che condividiamo con i nostri coetanei uccelli? Forse tutta l’evoluzione biologica andrebbe reinterpretata fuori dall’idea di progresso: i placentati odierni, se anche hanno sostituito quasi del tutto noi monotremi, non per questo sono da considerare più ‘progrediti’. Probabilmente Eravamo altrettanto bene adattati al nostro ambiente quanto i placentati all’attuale o i trilobiti a quello di centinaia di milioni di anni fa.

[Come lo so? Non lo so, ma me li immagino avendone sgranocciato involontariamente alcuni esemplari fossili.]

C’è ancora un’altra questione che mi dà molto da riflettere e per la quale non riesco a trovare una risposta plausibile. Non che agli altri problemi che ci pone il tempo si sia finora trovata soluzione definitiva e forse neppure provvisoria, ma questo, strettamente imparentato con quello, cui già ho accennato, della priorità, ci riguarda un po’ tutti in quanto esseri viventi immersi in un ambiente che in qualche modo agisce su di noi non solo producendo l’enorme varietà di forme che ci distinguono, ma ogni tanto anche ripetendosi o fingendo di farlo, quasi contraddicendo la propria ‘inventiva’.

Noi echidne ne siamo un esempio. Anche mettendo da parte le questioni della priorità, di chi è arrivato prima a certe soluzioni, resta il fatto che alcune soluzioni che sembrerebbero alquanto improbabili –come il ricoprirsi di spine– sono state trovate indipendentemente molte volte rendendo somiglianti specie che non hanno nessun rapporto di parentela. E se –sempre restando nello stesso esempio– le spine fossero effettivamente la miglior difesa per animali di taglia piccola o media, anche conigli, che pure sono così comuni dalle nostre parti, non se ne sono appropriati?

Forse perché avevano un’altra arma, la prolificità, a fronte della quale noi, con le nostre due uova per volta non potevamo certo competere. Ce hanno provvisto, molto dopo di noi, i marsupiali, con il peramele che, guarda caso, è stato imitato proprio da lepri e conigli tra i placentati, ma le spine si sono dimostrate molto più efficaci, soprattutto quando c’erano ancora i tilacini, ghiotti di paramele come anche di noi monotremi.

Oggi ci stiamo rapidamente estinguendo, sia i cugini ornitorinchi, sia noi echidne, ridotti ormai a due o tre specie. Ma anche marsupiali non se la passano troppo bene da quando hanno dovuto vedersela coi placentati. Almeno questi ultimi godono di ottima salute ... No, da qualche tempo anche quelli hanno i loro problemi. Sembra che proprio uno dei placentati, e neppure particolarmente ben riuscito, gli stia eliminando come quelli hanno fatto con noi, anzi sta eliminando un po’ alla volta tutti gli altri animali, salvo quelli di cui si nutre e che per questo alleva con cura. Forse, così facendo, spera che nessuno elimini lui. Nessuno?

E se, nella foga di eliminare gli altri, non si accorgesse di eliminare anche se stesso?

Boris Porena, 2010

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