[Nel 1954 avevo già composto un certo
numero di lavori – aproblematici e tonali, un po’ per scelta, un po’ per
ignoranza della contemporaneità – , con il quale mi ero illuso di essermi
aperto una via per il futuro. Sul finire di quell’anno iniziale i Tre
pezzi concertanti [1]
per due pianoforti, ottoni ed archi che poi fu eseguito l’anno seguente nella
stagione dei concerti dell’Accademia di Santa Cecilia, direttore Armando
Previtali, pianisti Ermelinda Magnetti, Mario Caporaloni.
Ricordo questo fatto per alcune ragioni
che nella memoria mi sembrano divertenti:
· L’attacco dei due pianoforti dopo poche battute
introduttive degli archi fa l’effetto di un’entrata di foche in uno spettacolo
di circo, e così l’ho chiamato anche in seguito.
· Il termino che apre il secondo pezzo – poi più volte
ripreso dalle trombe con un ingenuo, quasi infantile contorno contrappuntistico dei due pianoforti –
ha un delicato sapore stravinskiano di cui tuttavia non mi vergogno
(Stravinskij è stato per molti anni il mio nume tutelare, prima che Darmstadt
cancellasse con un sol colpo di spugna quel mio sogno giovanile).
· Il terzo pezzo – dei tre certo il meno simpatico – mi
piace ricordarlo per un piano compositivo ambizioso, anche questo ingenuamente
realizzato, che sembra anticipare di quasi mezzo secolo uno stilo di pensiero
maturato fuori dalla musica e riflesso per esempio anche in queste tratte.
Non avevo
ancora ascoltato una sola nota di Bruckner o di Mahler – quest’ultimo diventato
poi quasi una costante dei miei ascolti musicali – , e mi ero messo in testa di
‘inventarmi’ la loro lingua musicale. Ovviamente non ci sono riuscito, ma,
mettendo assieme Brahms e Wagner, che conoscevo abbastanza bene, e passandoli
per una salutare doccia stravinskiana, ho ottenuto qualcosa che lontanamente
rispondeva al mio progetto, come ho potuto constatare molti anni dopo.
I pezzi piacquero, più di una Kammermusik di Hindemith inclusa nel loro programma, e la cosa mi indignò moltissimo, perché ritenevo – e ritengo – il suo autore un compositore di ben altro calibro del mio.
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