Fu uno shock visivo paragonabile solo a
quello che accoglie il visitatore impreparato la prima volta che entra nella
Cappella Sistina. Io avevo già subito quello shock, attenuato però dalla lunga consuetudine
con i molti dettagli riprodotti ovunque, nei libri di arte e di storia, financo
negli annunci pubblicitari e sui mezzi di trasporto. Non avevo però visto mai
una riproduzione dell’altare di Isenheim, né conoscevo altre opere di Matthias
Grünewald. Quando entrai, a Colmar, assieme alla mia prima moglie Ida, nel
grande ambiente che accoglieva la gigantesca pala, restammo ambedue quasi
atterriti dalla terribilità si direbbe michelangiolesca – del Cristo martoriato
e crocefisso, dipinto con brutale realismo e minuziosa ricchezza di
particolari, con ai piedi la grande virgola della Maddalena collo spasmo delle
sue mani intrecciate e l’assurdo, didascalico gesto ostensivo del personaggio
che sta lì e non partecipa. Non meno emozionanti le scene dipinte sulle ‘ali’
che ricoprivano l’immagine centrale quando l’altare restava chiuso: mi colpì in
particolare l’uso del colore nell’immagine di Maria inginocchiata, degli Angeli
musicanti e del Cristo risorto, come immerso nella luce di un arcobaleno
glorificante. E ancora: il lacerante contrasto con il mistero dei colori spenti
di una ‘sacra conversazione’ tra alberi rinsecchiti che sanno di morte pur
nella energica vita dei dialoganti.
L’esperienza della Pala di Isenheim ha
riecheggiato a lungo anche nella mia produzione musicale degli anni Sessanta.
Ho tentato anche di riproporre gli effetti di luminescenza che si trovano
numerosi nei riquadri della pala. Così l’alone variopinto che circonda alcune
immagini e che ho più sopra attribuito a un ‘arcobaleno glorificante’, l’ho
tradotto musicalmente sovrapponendo più contorni sonori non coincidenti di una
stessa figura così da suggerire una sorta di diffrazione sonora. Questo
espediente è poi degenerato in una ‘tecnica’ che mi ha perseguitato per anni – quasi
non fossi io a inseguire lei, fino a condurmi alla paralisi degli ultimi anni
Sessanta e alla rottura definitiva nel Sessantotto. Matthias Grünewald è stato
quindi tra le cause lontane del mio tracollo di allora.
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