sabato 9 gennaio 2016

Tratta XXXV.3 – Presto fagocitato dalle religioni


 Giovanni da Modena, Inferno (1410), Basilica di San Petronio, Bologna

[Dialogante 1]  Che vuol dire essere ‘competenti di morale’? Forse l’aver letto la Critica della ragion pratica?
[Dialogante 2]  Non credo che il concetto di ‘competenza’ eminentemente cognitivo si addica a quello di ‘morale’ essenzialmente pratico-comportamentale.
[Dialogante 1]  D’accordo. Posso conoscere la sterminata letteratura sull’argomento e comportarmi da immorale.
[Dialogante 2]  Ma che vuol dire ‘comportarsi da immorale’?
[Dialogante 1]  In ambito cattolico la ‘morale’ riguarda soprattutto la sfera sessuale. Il prototipo dell’immorale è il dissoluto punito, cioè Don Giovanni.
[Dialogante 2]  Più che immorale lo direi ‘amorale’ in quanto non sembra interessato a contestare la morale corrente bensì la ignora del tutto. Se la contestasse la riconoscerebbe. Su questo punto Mozart e Da Ponte non potrebbero essere più chiari: Don Giovanni viene “ingluviato” non perché ha trasgredito alcunché, ma perché non ha nulla di cui pentirsi. Il suo mondo non conosce ne colpa ne pentimento, è incommensurabile per chi vive nel regno della morale. Da Ponte lo dice con chiarezza, ma Mozart lo conferma oltre ogni ragionevole dubbio…
[Dialogante 1]  E l’ascoltatore è quasi ‘costretto’ a prendere le parti di Don Giovanni.
[Dialogante 2]  E tu ti senti ‘costretto’?
[Dialogante 1]  Un tempo forse sì, quando ero influenzato più dalle nebbie del romanticismo neocattolico che dai lumi del razionalismo settecentesco; oggi però credo di aver acquistato sufficiente autonomia da non subire più i ricatti della morale.
[Dialogante 2]  Ma allora, senza più i binari della morale, come giudichi delle ‘deviazioni’ tue e degli altri?
[Dialogante 1]  Non so nulla di ‘deviazioni’. Conosco solo vie differenti e non vedo altro modo di valutarle, se non in rapporto a quelle segnate nell’UCL.
[Dialogante 2]  Relativismo culturale, quindi? Sì, con l’avvertenza che questo UCL è in continua espansione e tende a comprendere, almeno per certi aspetti – tra cui la morale – l’intera umanità…
[Dialogante 1]  … il che non implica per altro l’ideologizzazione della morale a sistema valutativo ‘assoluto’. Vuoi dire che, nonostante l’espansione universale, essa mantiene un valore locale, valutabile solo caso per caso…
[Dialogante 2]  … una palese contraddizione che le società hanno perlopiù risolto sdoppiando l’istanza giudicante: da una parte la giustizia, amministrata dai tribunali sulla base della legge, dall’altro il ‘senso morale’, presto fagocitato dalle religioni che hanno finito per investirvi la maggior parte dei loro principi.
[Dialogante 1]  Ma questo ‘senso morale’ non è esso stesso un prodotto delle religioni?
[Dialogante 2]  In gran parte penso di sì, anche se non saprei negargli più profonde radici etologiche, come l’istinto di sopravvivenza, o quello della socialità per le specie che l’hanno.
[Dialogante 1]  Non credi che in quest’ultima abbia una parte rilevante anche la cultura?
[Dialogante 2]  Certamente. Ritengo anzi che la morale sia essenzialmente un fatto culturale, più o meno sviluppato nelle specie sociali, assente del tutto, salvo che nei rapporti parentali, nelle specie solitarie.
[Dialogante 1]  Quindi non vedi neppure nella moralità un indice evolutivo di qualche importanza?
[Dialogante 2]  Effettivamente non lo vedo. Così come non ci vedo un particolare indice di maturità culturale. Azioni, oggi non approvate dalla morale corrente, come lo schiavismo o la discriminazione razziale, erano di tutta normalità fino a pochi decenni fa e ancora lo sono in alcune società…
[Dialogante 1]  … e, anche se tendono a scomparire, ciò non vuol dire che siano moralmente superiori a quelli che ci hanno preceduto.
[Dialogante 2]  A me per esempio non sembra che l’attuale modello di democrazia, basato sul profitto, la concorrenza, su ‘vinca (cioè sopravviva) il migliore’ sia il top della morale, appunto il modello verso cui tutti tendono.
[Dialogante 1]            Probabilmente è solo il meno peggio, ma ciò non ci esime dal cercarne dei migliori, soprattutto in relazione ai molti che il peggio lo conoscono per davvero.

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