domenica 30 giugno 2013

19 Postini sulle funzioni di una ‘Casa della Pace’ in Sabina (ii)



Una realizzazione di Serghei Pakhomoff
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Voglio ritornare sul tema Casa della Pace Sabina e proprio sul suo nome che, come già detto, non amo particolarmente perché mi suona propagandistico, generico, troppo condivisibile per essere informativo. Cercherò comunque di ricavarne qualche considerazione utile alla sua realizzazione.

La parola ‘pace’, al di là di essere troppo inflazionata e abusata presso tutte le culture (anche quando le reali intenzioni di chi la usa sono tutt’altre) conserva, pur se intesa onestamente, un retrogusto di ipocrisia assai difficile da estirpare. Si pensi al detto “Si vis pacem, para bellum”, dove ciò cui si mira è appunto la guerra e la pace si accetta solo a certe condizioni.

La limitazione spaziale espressa dalla parola ‘casa’ ha anch’essa sapore commerciale (‘Casa della moto’, ‘Casa degli spaghetti’) che fa della pace un prodotto da reclamizzare. Forse un poco maldestra per posizione (‘Sabina’ va riferita a ‘casa’ o a ‘pace’?), questa precisazione fornisce nondimeno un’indicazione metodologica: dal generale al particolare, dal generico allo specifico.

Importante allora sarebbe raggiungere il particolare, cioè l’individuo, ma attraverso una traiettoria che comprenda la famiglia, la scuola, la società… Il rapporto della pace con ognuna di queste realtà richiede un attento lavoro di analisi, che tuttavia si perde nella genericità del concetto di ‘pace’. Il lavoro svolto in tanti anni dal Centro Metaculturale ha tentato di chiarire per quanto possibile appunto questi rapporti, invero più sul piano pratico che su quello teorico. Anche questo tuttavia è stato indagato portando alle riflessioni sintetizzate poi in IMC. Questa ipotesi epistemologica sarebbe tuttavia ben poca cosa se non fosse in grado di tradursi sul piano metodologico e di qui su concreti modelli di convivenza civile, di formazione, di comportamento, che sostanzino di operatività l’astratto concetto di PACE.

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