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Abbiamo ricevuto
dalla Regione Lazio l’incarico di progettare e attuare la costituzione, a Forano
e in collaborazione con il locale Comune, di una Casa della Pace, cioè una struttura pubblica e aperta a tutta la
cittadinanza al fine di promuovere una ‘Cultura della Pace’ in sintonia con
analoghe iniziative in ambito europeo.
Come i suoi
componenti e i collaboratori del Centro Metaculturale sanno bene, il tema della ‘convivenza
pacifica nella diversità’ è stato da sempre al centro dei nostri studi e della
conseguente pratica, anche quando la pace
non veniva da noi neppure nominata. “Pace” e “guerra” sono due termini fortemente
ideologizzati e quindi da utilizzare con prudenza, spesso inadatti perfino a
definire una situazione di fatto. Un paese in rivolta è in pace o in guerra? E
se la rivolta è appoggiata da forze straniere? Le guerre civili sono vere e
proprie guerre? E le operazioni militari? E le ‘guerre di liberazione’?
E così anche
l’ipersfruttamento delle risorse ambientali può dirsi sintomo di un rapporto
pacifico tra la terra e i suoi abitanti? L’oppressione e la schiavitù, la
semplice presenza di uno stato totalitario, lo sterminio di alcune specie
animali rientrano nel concetto di ‘pace’?
E ancora il razzismo,
le ideologie di superiorità, la sopraffazione culturale, economica, religiosa
sono compatibili con quel concetto?
E il potere, le
ricchezze smisurate o, viceversa, la fame, l’ignoranza, la povertà?
Si può anche non
essere in pace con se stessi, farsi la guerra con l’alcool, la droga, il fumo,
e questo sia come individuo che come collettività…
In breve: le ‘case
della pace’ avranno il loro bel daffare a gestire efficacemente -e non solo a
parole- i loro progetti, a meno che non si contentino di appoggiarsi a qualche
partito politico, che certamente saprà provvedere molto meglio agli interessi
suoi che alle idealità che afferma di condividere.
Gli effettivi costituenti
di una ‘cultura della pace’ non sono le parole che li nominano –le
dichiarazioni di principio, le teorie filosofiche, etiche, religiose che li
giustificano- ma gli atti che ne conseguono. Anzi, al di là di questi atti,
ancora più qualificante è il modo di pensare, lo ‘stile di pensiero’ a cui sono
informati. E questo stile di
pensiero crediamo debba pervadere tutto il nostro ‘stare al mondo’ fin dai
nostri primi riflessi di coscienza. Compito primario della scuola e della
famiglia pensiamo debba essere la coltivazione di questo stile di pensiero,
sovra-, o, come preferiamo dire, metaculturale,
uno stile cioè che riconosca la culturalità di ogni nostra affermazione,
relativizzandola alla cultura che l’ha prodotta e sottraendola all’universalità
dell’assoluto. Siamo ancora molto lontani da questo, a livello locale e
mondiale, ma anche il contributo di una piccola Casa della Pace mi appare essenziale per il grande progetto della
sopravvivenza.
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