giovedì 5 marzo 2009

Serge Latouche: Il nucleare non è la strada del futuro

In Italia si parla di centrali nucleari: Serge Latouche, importante economista, filosofo, antropologo francese sostenitore della decrescita ha da dire qualcosa a questo proposito.

La crisi economica non è isolata, sembra infatti ormai dietro l'angolo un problema forse ancora più grave: la crisi energetica.



Già in passato su questo blog si è parlato del Peak Oil e del modello che punta alla Decrescita.

4 commenti:

Rigobaldo ha detto...

Il messaggio di Latouche è assai interessante, ma lo si deve inquadrare per renderlo massimamente efficace.

Al mio modo di vedere, l'opposizione più forte al nucleare non la si esprime opponendosi.

La si esprime invece chiedendo:
(a) sul modello sociale-economico che vogliamo per vivere nel mondo,
(b) sulle necessità energetiche di questo modello,
(c) sul come costruire un'offerta che dia risposta a questa domanda,
(d) sul ruolo che possa avere il nucleare in quest'offerta, alla luce dei sui costi integrali (cioè includendo smantellamento della centrale alla fine della sua vita utile e gestione dei rifiuti a lunghissimo termine).

Parlare dei "rischi tecnici" del nucleare non ha molto senso: ci lasceremmo trascinare ad una discussione su cosa uccide di più, una centrale termica che bruci lignite (terribile!), l'automobile ... una discussione poco produttiva.

Sono enormemente più preoccupanti i rischi del modello al quale alimentano tutte queste forme di generazioni di energia (anche le rinnovabili). Abbiamo la certezza contrastata che se non lo si arresta porterà a cataclismi devastanti, può darsi all'estinzione.

Nel presente modellaccio economico -oscenamente autodistruttivo- il quesito "nucleare sì?, nucleare no?", equivale a che ci chiedano di scegliere tra cancro di pancreas e cancro di polmone. Certo che c'è uno meno brutto dell'altro, ma la risposta intelligente è il rifiuto del quesito formulato così: una persona sana di mente non vuole nessuno dei due.

Invece il rifiuto del nucleare mentre si continua ad utilizzare combustibili fossili a manetta, oppure mentre si avvanza la pretesa di tappezzare il nostro territorio con generatori eolici e pannelli fotovoltaici ... è troppo incompleto. Troppo pericoloso.

Rifiutatori del mondo! L'appetito viene mangiando! Non fermatevi nel rifiutare il nucleare -oggetto relativamente poco importante-, rifiutate piuttosto e soprattutto il mostro che è alimentato dal nucleare.

Cordialità,

Anonimo ha detto...

Affannarsi sulle "soluzioni"... Ho ripreso la mia attività di formazione nelle scuole medie proprio su temi energetici, e questa ricerca a tutti costi della Soluzione (quella definitiva, con la 'S' maiuscola) tento di proporla ai ragazzi. Ma non col fine di arrivare ad una conclusione, perchè anzi più ci si riflette sopra, più la questione energetica sembra non avere via d'uscita. Rinnovabili? nucleare? idrogeno? Ognuno alla TV propone la sua soluzione, ma se andiamo oltre l'autorità del politico o meglio ancora dello scienziato che ce la propone e ci permettiamo di riflettere, beh, ostacoli se ne trovano dappertutto. Sembra di essere davanti ad un problema che non sappiamo risolvere. E allora che fare?
Mah, se non so risolvere un problema può essere che dovrò 'studiare' di più (dunque fare ricerca, "la scienza può salvarci" - forse, magari non del tutto). L'altra possibilità, a mio modo di vedere, è che sia il problema stesso ad essere fatto male. Questo a priori non possiamo escluderlo data la sua complessità.

Dunque prima di accapigliarsi sulle soluzioni sembrerebbe utile pensare ai problemi.

Questa cosa può risultare difficile alle volte, e ho provato a chiedermi il perchè.
Trovandomi a scuola, mi è venuto da pensare che ciò che lì si studia sono soluzioni. Soluzioni di un'equazione, per trovare l'area del quadrato c'è questa formuletta... Forse ci abituiamo a pensare che una soluzione ci sia sempre, e anche che se non la sappiamo noi qualcuno che la sa c'è(la maestra, gli scienziati...).
Non so se questo è il miglior modo per prepararsi ad affrontare una realtà che sembra esser fatta di problemi, che, come quello energetico, non è detto che possano essere risolti, almeno per come sono posti.

Una ragazza mi ha chiesto: "Ma se non ce la fanno gli scienziati a risolvere queste questioni, cosa possiamo fare noi?". Buona domanda.

Rigobaldo ha detto...

Gentile Dr. Cerchiobot,

qualche pensiero al volo sulle sue considerazioni, con l'obiettivo di suggerire una possibile risposta per la sua intelligente ma immatura allieva.

Veniamo addestrati -è l'eredità di Cartesio- a scomporre le situazioni complesse in tante situazioni semplici, e quindi a cercare "soluzioni" locali per queste ultimi (tante volte, con metodi già prestabiliti, off the shelf ... nessuno si mette ad integrare l'area di un quadrato di lato L, scatta l'automatismo e facciamo L x L).

Mbè, questo approccio serve per sistemi chiusi (anche se grandi e complessi, tipo programma spaziale). Il loro obiettivo e prestazione finale è relativamente facile a definire (anche se ambizioso: "mettiamo un uomo sulla Luna"). La scomposizione non è soltanto tecnica, è anche organizzativa e sequenziale, e con un po' di sale in zucca -e di risorse- ci si riesce alla fine.

Ma cosa capita con i sistemi aperti? Li chiamiamo aperti per la difficoltà di definire i loro confini - che in ultima istanza sono inesistenti, o meglio, sono soltanto una nostra proiezione sulla realtà per aiutarci noi stessi a capirla, ma non hanno esistenza effettiva. Ad esempio, la questione energetica riguarda un sistema aperto. Dove finiscono le questioni energetiche e dove cominiciano quelle industriali, ambientali, di acqua, di territorio, di sicurezza? Più si analizza, più ci si rende conto di quanto sia tutto intralacciato. Se adottiamo l'approccio cartesiano, otteniamo dei pezzi, li "risolviamo" (ecco fatto, una bella centrale termoelettrica, ad esempio!), inseriamo la soluzione nel sistema ... e vediamo che non abbiamo risolto un bel tubo di niente. Anzi, qualche volta abbiamo decisamente peggiorato l'andamento del sistema.

Quindi, il primo suggerimento didattico sarebbe: occhio alle parole come 'problema' e 'soluzione': como giustamente identificato da Lei, hanno pregnanza soprattutto nel piccolo ambito chiuso, ma si diluiscono (perdono significato letterale, diventano metafore) nel sistema aperto.

Nel sistema aperto le priorità analitiche sono altre: non scissione meccanicista, ma integrazione, coesione, equilibrio.

Per cominciare, non abbiamo una chiara definizione di cosa costituisce una 'soluzione? Cosa vuol dire "risolvere il problema energetico"? Molti politici risponderanno -cartesianamente e liberalmente-, "assicurare la fornitura". Bocciati senza misericordia. Alcuni pochi (normalmente viziati da filocomunismo) risponderanno, "pianificare a lungo termine offerta e domanda energetica, e assicurare l'equilibrio". Bocciati pure senza misericordia. Invece la risposta (che non è una risposta, piuttosto un dito che punta sulla direzione nella quale si potrà trovare una risposta) sarebe "scomettere sulla sopravvivenza". Vogliamo un modelo-sociale economico che punti alla sopravvivenza? Se non vogliamo, non ha nessun senso discutere su centrali nucleari od eoliche, car-sharing o lampadine a basso consumo. Viviamo allegramente i giorni che restano e punto.

Arriviamo a un secondo cenno teorico-pratico: per i sistemi aperti, la prima necessità consiste nel formulare il problema in termini cogenti. Già quello è pieno di difficoltà (praticamente nessuno con responsabilità pubbliche ci arriva oggigiorno, in nessun paese della Terra). Ma senza definizione del problema, non avremo praticamente nessuna possibilità di risolverlo, sarebbe come cercare di definire l'area del quadrato di lato L mettendo L in un generatore di numeri aleatori e provare a vedere che cazzo viene fuori.

Arrivo -mi scusi le lungaggini- ad una possibile risposta alla sua allieva. La sua allieva è figlia di una situazione culturale impostata sul principio di autorità: nel suo mondo immaginario, esistono "coloro che sanno" (gli scienziati) e "coloro che non sanno") (la gente comune, ivi compresi gli allievi, e naturalmente lei medesima).

La prima necessità consiste nell'aiutarla a riconoscersi come essere pensante.
La seconda, darle informazione di inquadramento del problema -generate dagli scienziati, certamente, ma pienamente alla portata di chiunque- (dò per scontate le sue capacità di trasferimento, Dr. Cerchiobot).
La terza, aiutarla a prendere consapevolezza:
- intellettuale, di quanto sia indispensabile FORMULARE IL PROBLEMA in termini non parziali, in termini chiari, in termini che correspondano alle reali aspettative delle persone,
- politica e sociale, di quanto sia competente lei, come cittadina (e soprattutto come cittadina giovane, quindi con elevata speranza statistica di vita) per partecipare in questa formulazione del problema, per dare un mandato chiaro ai politici e scienzati su cosa vuole di loro.

Riassumo in un guscio di noce le sue responsabilità didattiche, Dr. Cerchiobot (grevi assai! non La invidio!): (1) ribaltare il mondo della sua allieva, portarla alla consapevolezza che l'autorità è soprattutto sua, in quanto cittadina, incquanto giovane, in quanto essere pensante; (2) chiedergli (ci provi a farlo con un sorriso) se vuole sopravvivere.

Cordialità,

Anonimo ha detto...

A proposito di 'ribaltare i mondi'...La mia esperienza di didattica offre nuovi spunti.
Premetto che solitamente si fanno due lezioni, la prima più teorica, l'altra in cui si fanno piccoli esperimenti sul consumo in standby, o confronto tra lampadine. Ebbene, il corpo docenti aveva dato come indicazione di intensificare la parte pratica, sperimentale. E l'importanza di 'vedere' e 'toccare' la riconosco, anche pensando a me stesso come allievo.
Tant'è,le cose da dire sono molte,e più ne dici più te ne vengono altre...mi sono permesso di allargare un po' più quello che mi piace chiamare confronto piuttosto che lezione, relegando gli esperimenti agli ultimi minuti.

Sono stato chiamato a rapporto dalle insegnanti per un confronto su questo. E ben venga, è il loro lavoro, e hanno a che fare coi ragazzi da più tempo di me.
Le indicazioni che sono arrivate riguardavano il fatto che "i ragazzi oggi sono delle macchine da televisione",e che quindi per tener viva l'attenzione devi usare 'effetti speciali'. Inoltre a loro avviso sul non arrivare ad una Soluzione del problema energetico: dovrei dirlo io esplicitamente e non lasciarlo dedurre a loro, perchè " tranne 3 o 4 per classe sono -diciamocelo- un po' stupidi", o comunque "non in grado di dedurre".

Ero abbastanza circondato, inoltre dovevo stare attendo a come parlavo perchè non volevo fare il giovanotto presuntuoso che viene ad insegnarci il mestiere. Nè volevo contrappormi per forza. Ho provato a dire che, forse perchè non sono a contatto coi ragazzi quotidianamente (e magari sono meno frustrato!) cerco di avere un po' più di 'fiducia' in loro, nelle loro capacità. Tra l'altro questo lo dico anche esplicitamente: ragazzi proviamo a ragionare coi mezzi che abbiamo...anche con poche informazioni noi di terza media, che specialisti non siamo, siamo arrivati a mettere in discussione il nostro modo di vivere (per es. visto che una crescita illimitata non è possibile su un pianeta finito) senza presunzione, ma almeno se ne deve discutere.

Come dicevo nello scorso intervento, provo appositamente a non dare LA Soluzione perchè il mondo di soluzioni ne è pieno....ed è pieno anche di immagini colorate e di effetti speciali...e di migliaia di risposte, basta accendere la tv o collegarsi ad internet per averle tutte, magari anche a domande che non mi ero neanche mai fatto. Già fare così è dare un messaggio a suo modo forte, capita che i ragazzi chiedano: "ma allora la soluzione qual è? ce la dici?".

Qualche insegnante ha detto che gli alunni erano interessati e chiedevano "quando viene la prossima volta in classe?", ma tuttavia a loro avviso con quella metodologia non gli rimaneva molto in testa.
Non voglio dire che qualcuno abbia ragione, nè che la loro posizione non abbia fondamento o ragione di essere. Mi chiedo se questi interventi di 'didattica aperta' non debbano essere estesi anche agli insegnanti stessi o forse in generale al 'mondo adulto' di cui si discorreva con l'esimio Rigobaldo.

Questo mi ha portato ad osservare alcuni comportamenti degli insegnanti, come i frequenti richiami all'ordine agli alunni durante le lezioni, spesso conditi da "guardate che su questo vi chiedo la relazione", "visto che siete in terza media potrebbe essere argomento d'esame". Finalizzare tutto. Un rischio 'lavorare contro' i ragazzi.

Un'altra cosa da annotare, forse un po' più sottile, è che quando si parla di argomenti trattati nel programma le insegnanti tendono a suggerire le risposte (suggerire!) o in altri casi a 'mortificare' "ragazzi ma dormite? questo l'abbiamo studiato"....
Ma ragazzi, anche se non ve lo ricordate, proviamo a pensarci insieme...


Oddio, sta quasi diventando una rubrica di didattica... mi interessa confrontarmi con altri su questo, e inoltre credo che possa offrire spunti utili per molti.