venerdì 5 dicembre 2008

In piede sul Sole (CCB2)

La parola alla nostra amica e collaboratrice Claude Cazalé-Bérard (vedasi puntata precedente) ...

Jacques Leclercq, più di vent’anni fa, ci consegnò alcuni pensieri ancora utili per la nostra riflessione sulla politica di oggi e di domani, sul nostro mondo globalizzato dove la libertà di parola e di opinione sono sempre più limitati o minacciati (da censura, manipolazione, mercificazione), mentre paradossalmente non ci sono mai stati strumenti di comunicazione così rapidi ed efficienti per accogliere, trasmettere, memorizzare tutte le parole, in tutte le lingue e in tutti i linguaggi attraverso il pianeta...




La parola prigioniera
Se i responsabili politici o religiosi avessero un contatto reale con gli uomini e le donne che pretendono di guidare cambierebbero linguaggio. Detto con altre parole, il linguaggio politico o religioso che viene usato è la riprova che è stato smarrito il rapporto con la vita.
Finché la politica non è altro che tattica o strategia, non è al servizio dell’uomo, ma riduce a servo l’elettore.
Finché la fede si limita ad essere religione, non è al servizio dell’uomo, ma rende servo il fedele.
In entrambi i casi la Parola è prigioniera dell’ideologia, non è altro che autodifesa, perorazione in difesa di sistemi instaurati nel perdurare di secoli, di anni.
Essa parla soltanto del passato, ripete un discorso trito e ritrito che non insegna più nulla a nessuno e che continua a fraci credere che l’avvenire stia nel passato.
A questo stato di cose va attribuita l’indifferenza di molti giovani per la politica o per la religione. Loro invece sono portatori di una promessa, di un avvenire che nessuno dei nostri linguaggi tradizionali può celebrare con rituali invecchiati. [...]
C’è tutto da temere da una società che non si fida dei suoi giovani: eppure è così, da troppi anni, nel nostro Occidente.
Le risposte invecchiate, gli argomenti logori di età svanite, le prove accumulate nel passato non placheranno mai l’angoscia suscitata da domande nuove. È la vita stessa che le pone; e la vita si rinnova ogni giorno come il sole ad ogni aurora. [...]
Bisogna liberare la Parola, bisogna liberare ogni parola. Il vino nuovo è già pronto, giovane e forte, per far scoppiare gli otri vecchi. La speranza balzerà fuori e spiccherà il volo. [...]
La politica ha perduto quello sguardo libero che consentirebbe una lettura profetica della Storia. [...] Ha smarrito la dimensione dell’Uomo, il suo potere creatore, la sua vocazione che è prima di tutto di riunire gli uomini offrendo loro una speranza che sia più grande di loro. […] Ci vorrebbero profeti […]

Jacques Leclercq,
Debout sur le soleil, Paris, Seuil 1980


8 commenti:

Anonimo ha detto...

Le parole sono le cose, per quanto in un modo che non siamo riusciti del tutto a chiarire (e probabilmente non riusciremo mai, a meno di non ipotizzare divinità di altro livello, visto che è probabilmente lo sviluppo della capacità linguistica quello che ha reso questa specie - che appare un virus del pianeta - la specie dominante, tanto dominante che le conseguenze del suo sviluppo sono oggi paragonabili ad eventi geologici (quello che abbiamo fatto nell'atmosfera con il nostro sviluppo è paragonabile solo all'esplosione di diversi vulcani!) e che pertanto penetrare completamente il linguaggio significherebbe penetrare completamente il concetto stesso di umanità.
Ma mi sono già perso in troppe parentesi! Quel che vorrei dire è che il linguaggio è ciò che manifesta - a prescindere dalla nostra coscienza - la strutturazione che abbiamo del mondo, lo delimita in campi assiologici, in linee di forza, in questo e quello, in cose, qualità, cose che accadono.
Resta inutile la paranoia del politicamente corretto, perchè trementamente superficiale e come sempre ipocrita. Eppure sarebbe interessante cominciare a parlare di "altre specie animali" e non di specie animali, per non dire di cosa, in prospettiva, appunto, potrebbe accadere qualora la storia dovesse prevedere la nascita di nuovi linguaggi.
La gioventù ha perso la poesia: la plastificazione del linguaggio ne ottunde la capacità di rendere praticabile la rivolta, ovvero di essere sovrani al punto da poter finalmente rispondere a quel fa ciò che vuoi che tanto imbarazza.
Abbiamo perso la capacità di vedere le energie capaci di scombussolare il presente, energie che sono - devono esserlo - continuamente nascoste nelle cose stesse, perchè abbiamo perso la capacità di nominarle, di fare in modo che le parole che diciamo siano, praticamente, cose: vien quasi da dire: gesti.
Che abbiano la forza della fame.
Il mondo si è allargato solo per nascondersi meglio.

Scusate il delirio!
Buon lavoro, buona giornata... oggi c'è un sole freddo, da berci su qualcosa!

Anonimo ha detto...

Caro Anonimo,
lei scrive
'Le parole sono le cose, per quanto in un modo che non siamo riusciti del tutto a chiarire'
E se le parole non fossero le cose? Se le parole fossero uno dei problemi per l'uomo? Cerco di spiegarmi meglio: questo linguaggio che tutti noi eleviamo a qualcosa di 'sacro' di caratteristica 'superiore' rispetto alle altre specie animali potrebbe nascondere un illusione.
L'illusione di osservare una cosa e nominarla ci fa sentire bene. Ma quella cosa non rimane mai uguale a se stessa, nello spazio e nel tempo. E se il linguaggio fosse invece un grosso problema perchè semplifica la realtà che ci circonda bloccando il nostro spirito di osservazione incatenandolo al 'verbo'?
Forse se le nuove generazioni hanno 'perso la plastificazione del linguaggio' è un bene. Certo ora ci appare come perdere qualcosa a cui siamo abituati, un impoverimento, ma chissà...forse solo così si potrà andare oltre le solite analisi e seguire le dinamiche che ci circondano rendendoci conto che sono state da sempre più complesse di come si era creduto poichè in continuo mutamento.
Cordiali Saluti
Il Signor A.

Anonimo ha detto...

Grazie Anonimo per il tuo commento, speriamo di ritrovare, anche attraverso questo blog "la capacità di vedere le energie capaci di scombussolare il presente"
V

Rigobaldo ha detto...

Il linguaggio smarrito che denuncia Leclerq non è altro che il linguaggio ideologizzato.

Trovo parecchio parallelismo con parole scritte da Boris stesso ...

"Millenni di uso ideologizzato della lingua ci ha abituato a concetti come ‘vero’, ‘falso’, ‘buono’, ‘cattivo’, di cui ci ha fornito una veste assolutizzata che separa, divide anzi contrappone là dove sarebbe assai più prudente –sempre ai fini della sopravvivenza– relativizzare, mediare, riconoscere limiti …"

(La funzione formativa nell'era della globalità, 2006, Cap. II, Formazione della consapevolezza, 6. La via)

Se vale quindi questo parallelo

deideologizzare = ricuperare il rapporto con la vita

Anonimo ha detto...

Grazie dell'attenzione.
Forse sarebbe stato meglio dire: le parole sono cose. Certamente il linguaggio è semplificazione, ma credo che non sia possibile eliminare un certo livello di semplificazione pratica, pragmatica. Intendendo con linguaggo anche tutti i possibili linguaggi formalizzati, come quello della matematica (forse anche la musica, ma non mi sbilancio in cose che non capisco!)
Voglio dire: capire che il fuoco scotta forse richiede l'articolarsi nel cervello dell'uomo anche di una serie di concetti linguistici. Su questo forse dovrebbe illuminarci la neurologia, e vale quanto dicevo per la musica: parlo di cose che non conosco.
L'illusione di nominare una cosa ci fa sentire bene: è evidente che quella stessa cosa non rimane uguale a se stessa, è evidente da Eraclito in poi, no!? Eppure la dimensione pragmatica del linguaggio mi permette di chiedere di mangiare un uovo, anche se l'universo intero sta continuamente modificandosi, per non parlare di quello che avviene dentro di me - in senso biologico e psicologico. Però alla fine l'uovo lo mangio, perchè sono riuscito a comunicare il mio desiderio ad un altro.
Considerare il linguaggio come un repertorio di etichette è forse sbagliato, in senso storico direi borghese, nel senso di rendere il mondo manipolabile (reificazione), tuttavia mi sembra importante fare attenzione alla dimensione pragmatica della comunicazione: perdendo di vista questa ci si avvita in filosofismi, mi sembra un rischio.
Infondo si tratta di dire pane al pane e vino al vino!
Quando parlo di plastificazione del linguaggio intendo dire non tanto che le parole si fissano sulle cose, quanto che si sta fissando un repertorio di parole che maschera una progressiva scomparsa delle cose.
Non profeti che indichino nuovi domani radiosi, ma poeti che sappiano nominare quello che è attorno a noi e non vediamo.
Scrivendo mi accorgo che forse intendiamo la stessa cosa, ma con parole diverse: ecco, la sfida è semplicemente quella di parlare, per trovare nuovi modi di intendersi. In fondo è auspicabile non tanto rintracciare le fonti dell'essere quanto accordarsi per trasformare il mondo, o qualcosa del genere.
Quindi ben venga la perdita del linguaggio ideologizzato, e il riconoscimento dei limiti delle parole nel classificare, vorrei dire (l'ha già detto qualcuno, non ricordo chi, forse Lacan?!) di PARLARCI.
Ma auspico la ricerca di un linguaggio inevitabilmente altrettanto ideologizzato, in un certo senso: perchè tale linguaggio ideologizzato è quello con il quale si può condurre una vera "contesa", che dal terreno delle parole possa ricadere sul terreno delle cose.
In un certo senso si tratta di costruire una cultura, una sensibilità, una lingua all'altezza dei tempi che viviamo.
Una lingua che scombussoli quello che siamo abituati, per scombussolare la vita stessa.

Ora è meglio mangiare il mio uovo!

Rigobaldo ha detto...

Gentile Anonimo,

si sbilanci pure sulla musica, e sulla neurologia, e su qualsiasi argomento desideri, La prego, poiché questo diario di navigazione riconosce programmaticamente la preeminenza di quella competenza che ci è comune a tutti (il pensare) sulle competenze specialistiche.

Infatti queste seconde dovrebbero servire a complementare il pensiero comune, fornendogli informazione (specialistiche, appunto) da macinare, ma mai dico mai a inibirlo.

Ciò detto ... non penso che ci sia nessuna ricetta magica per deideologizzare il linguaggio: semplicemente (difficilmente, nella pratica) ci serve un'attenzione continua sul medesimo, una riflessione del discorso su sé stesso, una presa di coscienza, un'attenzione ai contenuti e alle strutture. E naturalmente il dialogo. Diciamo che ci serve, in espressione cara al Porena, uno 'stile di pensiero'.

Grazie a Lei per il dialogo. Buona digestione dell'uovo, e distinti saluti,

Anonimo ha detto...

Salve a tutti,
si sono d'accordo caro Anonimo, bisogna stare molto molto attenti a non perdersi nel 'filosofare' spinto e poco pragmatico anche se ogni tanto è bello 'farfugliare'!
Il contatto con la realtà è molto utile, indispensabile, sopprattutto in questo periodo storico dove la cosa più pragmatica è la 'Borsa'.

Citando testualmente il Sig. Rigobaldo:

'Ci serve un'attenzione continua sul linguaggio, una presa di coscienza, un'attenzione ai contenuti e alle strutture.'

Credo che la cosa importante sia proprio questa, avere un momento di riflessione su ciò che utilizziamo quotidianamente, su ciò che osserviamo ma soprattutto su se stessi.
Poi se uno vuole tirare in ballo un uovo o mobilitare l'intero universo poco importa!
Cordiali Saluti
Il Signor A.

Anonimo ha detto...

Trovo particolarmente stimolante questo intenso scambio di idee che ci dimostra quanto la parola liberata dalle ideologie possa essere creativa, ma soprattutto quanto essa nasca, maturi,cresca come relazione all'altro, come "ponte", un concetto faro del nostro caro Boris Porena, tra le persone, tra le idee, tra le culture, tra le cose ... Forse le parole non sono le cose stesse, ma il prodotto dell'energia che si sprigiona da esse non appena si incontrano, si scontrano, si uniscono, si separano...
La parola è il primo dei "diritti umani" che si festeggiano oggi!
Claude