mercoledì 13 gennaio 2010

Elogio della metamorfosi



Oggi portiamo qui un articolo assai pertinente pubblicato da Edgar Morin ne Le Monde di domenica scorsa.

[Aggiornamento 14.1.10, ore 17:43 - pure La Stampa di oggi ha deciso di riportare questo articolo]


Quando un sistema è incapace di trattare i suoi problemi vitali, si deteriora e si disintegra, oppure è in grado di suscitare un meta-sistema in grado di trattare i suoi problemi: si metamorfizza. Il sistema Terra non è in grado di organizzarsi per trattare i suoi problemi vitali: i pericoli nucleari, che peggiorano con la disseminazione e forse la privatizzazione dell’arma atomica; il deterioramento della biosfera; un’economia mondiale senza vera regolazione; il ritorno delle carestie alimentari; i conflitti etno-politico-religiosi che tendono a diventare guerre di civiltà.

Può considerarsi che l’amplificazione e l’accelerazione di tutti questi processi rappresentano lo scatenamento di un formidabile feed-back negativo, processo attraverso il quale si disintegra irrimediabilmente un sistema.

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Ciò che è probabile è la disintegrazione. Ciò che è improbabile, ma possibile, è la metamorfosi. Cos’è una metamorfosi? Ne vediamo esempi innumerevoli nel regno animale. Il bruco che si chiude in una crisalide comincia allora un processo che è allo stesso tempo di autodistruzione e di autoricostruzione, secondo un’organizzazione ed una forma di farfalla – non più di bruco–, pur rimanendo lo stesso. La nascita della vita può essere concepita come la metamorfosi di un’organizzazione fisico-chimica, che, arrivata ad un punto di saturazione, ha creato la meta-organizzazione vivente, che ha prodotto delle qualità nuove, pur comportando le stesse costituenti fisico-chimiche.

La formazione delle società storiche, nel Medio Oriente, in India, in Cina, in Messico, nel Perù costituisce una metamorfosi a partire da un aggregato di società arcaiche di cacciatori-raccoglitori, che ha prodotto le città, lo Stato, le classi sociali, la specializzazione del lavoro, le grandi religioni, l’architettura, le arti, la letteratura, la filosofia. E anche il peggio: la guerra, la schiavitù. A partire dallo XXIº secolo si pone il problema della metamorfosi delle società storiche in una società-mondo di un nuovo tipo, che includerebbe gli Stati nazione senza sopprimerli. Poiché la prosecuzione della storia, cioè le guerre, da parte di Stati provvisti di armi di distruzione, conduce alla quasi-distruzione dell’umanità. Mentre, per Fukuyama, le capacità creatrici dell’evoluzione umana sono esaurite con la democrazia rappresentativa e l’economia liberale, dobbiamo pensare che –al contrario– sia la storia ad essere esaurita e non le capacità creatrici dell’umanità.

L’idea di metamorfosi, più ricca dell’idea di rivoluzione, ne conserva la radicalità trasformatrice, ma la collega con la conservazione (della vita, dell’eredità culturale). Per andare verso la metamorfosi, come cambiare via? Pur se sembra possibile correggere alcuni mali, è completamente impossibile rallentare il moto tecno-scientifico-economico-civilizzatore che porta il pianeta ai disastri. E tuttavia la storia umana ha spesso cambiato strada. Tutto comincia, sempre, da un’innovazione, da un nuovo messaggio deviante, marginale, modesto, spesso invisibile ai contemporanei. Così hanno cominciato le grandi religioni: buddismo, cristianesimo, islam. Il capitalismo si sviluppò come parassita delle società feudali, dopodiché prese finalmente sopravvento, e le disintegrò con l’aiuto delle monarchie.

La scienza moderna si è formata a partire da alcuni spiriti devianti dispersi, Galileo, Bacon, Descartes, quindi creò le sue reti e le sue associazioni, si introdusse nelle università nel XIXº secolo, quindi nello XXº secolo nelle economie e gli Stati, arrivando a diventare uno dei quattro potenti motori della navicella spaziale Terra. Il socialismo è sorto in alcuni spiriti autodidatti e marginalizzati del XIXº secolo per diventare una formidabile forza storica nel XXº secolo. Oggi, tutto è da riconsiderare. Tutto è da ricominciare.

Tutto è difatti ricominciato, ma senza che lo si sappia. Ne siamo nella fase degli inizi, modesti, invisibili, marginali, dispersi. Poiché esiste già, su tutti i continenti, un brulicare creativo, una moltitudine di iniziative locali, nel senso della rigenerazione economica, o sociale, o politica, o conoscitiva, o educativa, o etica, o della riforma di vita.

Queste iniziative non si conoscono reciprocamente, nessuna amministrazione le considera, nessun partito ne prende conoscenza. Ma sono il vivaio del futuro. Si tratta di riconoscerle, registrarle, ordinarle, indicizzarle, e combinarle in una pluralità di cammini di riforma. Queste strade multiple potranno, sviluppandosi congiuntamente, combinarsi per formare la via nuova, quella che ci condurrebbe verso l’ancora invisibile e inconcepibile metamorfosi. Per elaborare le strade che si congiungeranno nella via, occorre liberarci delle alternative limitate alle quali ci costringe il mondo della conoscenza e del pensiero egemonici. Così occorre, allo stesso tempo, mondializzare e demondializzare, crescere e decrescere, sviluppare ed avvolgere.

L’orientamento mondializzazione/ demondializzazione significa che, se occorre moltiplicare i processi di comunicazione e di planetarizzazione culturali, se occorre che si costituisca una coscienza “di Terra-patria”, occorre anche promuovere, in modo demondializzante, l’alimentazione di prossimità, gli artigianati di prossimità, i commerci di prossimità, l’orticoltura periurbana, le comunità locali e regionali.

L’orientamento crescita/decrescita significa che occorre fare crescere i servizi, le energie verdi, i trasporti pubblici, l’economia plurale fra cui l’economia sociale e solidale, le iniziative d’umanizzazione delle megalopoli, le agricolture ed allevamenti di fattoria e biologici, ma occorre fare diminuire le intossicazioni consumiste, i prodotti alimentari industrializzati, la produzione di oggetti monouso e non riparabili, il traffico automobile, il trasporto merci su strada (a profitto del trasporto ferroviario).

L’orientamento sviluppo/avvolgimento significa che l’obiettivo non è più fondamentalmente lo sviluppo dei beni materiali, dell’efficacia, della redditività, del calcolabile, ma è anche il ritorno di ciascuno verso le proprie necessità interne, il grande ritorno alla vita interiore ed al primato della comprensione dell’altro, dell’amore e dell’amicizia.

Non basta più denunciare; ci occorre ora enunciare. Non basta ricordare l’urgenza. Occorre sapere anche cominciare la definizione delle vie che condurrebbero alla Via. A questo proviamo a contribuire. Quali ragioni ci sono per sperare? Possiamo formulare cinque principi di speranza.

1. L’emergenza dell’improbabile. Così la resistenza vittoriosa, ben due volte, della piccola Atene davanti alla formidabile potenza persiana, cinque secoli prima della nostra era, era altamente improbabile e permise la nascita della democrazia e quella della filosofia. Allo stesso modo era inatteso il congelamento dell’offensiva tedesca davanti a Mosca in autunno del 1941, quindi era improbabile la controffensiva vittoriosa di Joukov cominciata il 5 dicembre, e seguita l’8 dicembre dall’attacco di Pearl Harbour che fece entrare negli Stati Uniti nella guerra mondiale.

2. Le virtù generatrici/creatrici inerenti all’umanità. Così come esistono in ogni organismo umano adulto delle cellule staminali provviste delle capacità polivalenti (totopotenti) caratteristiche delle cellule embrionali, ma disattivate, nello stesso modo esistono in ogni essere umano, in ogni società umana, delle virtù rigeneratrici, generatrici, creatrici, in uno stato dormente o inibito.

3. Le virtù della crisi. Contemporaneamente alle forze regressive o disintegrative, le forze generatrici e creatrici si destano nella crisi planetaria dell’umanità.

4. Proprio in rapporto con questo si combinano le virtù del pericolo: “Là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che ci salva.” L’opportunità suprema è inseparabile dal rischio supremo.

5. L’aspirazione plurimillenaria dell’umanità all’armonia (paradiso, quindi utopie, quindi ideologie libertaria/socialista/comunista, quindi aspirazioni e sommosse giovanili degli anni 1960). Quest’aspirazione rinasce nel brulicare delle molteplici iniziative disperse che potranno nutrire le vie riformatrici, chiamate a congiungersi nella nuova via.

La speranza era morta. Le vecchie generazioni sono disincantate dalle false speranze. Le giovani generazioni si trovano nella desolazione, perché non ci sono più cause come quella della nostra resistenza durante la seconda guerra mondiale. Ma la nostra causa portava in essa stessa il suo opposto. Come diceva Vassili Grossman di Stalingrado, la più grande vittoria dell’umanità è stata allo stesso tempo la sua più grande sconfitta, poiché il totalitarismo staliniano ne è uscito vincitore. La vittoria delle democrazie ristabiliva allo stesso tempo il loro colonialismo. Oggi, la causa è inequivocabile, sublima: si tratta di salvare l’umanità.

La speranza vera sa che essa non è certezza. È la speranza non del migliore dei mondi, ma di un mondo migliore. L’origine è dinanzi a noi, diceva Heidegger. La metamorfosi sarebbe effettivamente una nuova origine.

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Filosofo e sociologo. Nato nel 1921, è direttore di ricerche emerito nel CNRS, presidente dell'Agenzia Europea della Cultura (Unesco) e presidente dell’Associazione per il Pensiero Complesso. Nel 2009, ha pubblicato tra altri scritti “Edwige, l’inseparabile” (Fayard). Da leggere ugualmente, “Il pensiero turbolento – Introduzione al pensiero d’Edgar Morin”, di Jean Tellez (edizioni Germina)


Con la nostra riconoscenza a Valentina Aveta per la revisione della traduzione italiana

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