[L’op.
111 è una delle sei sonate beethovenianie in due soli movimenti (op. 49, nn. 1 e 2, op. 54, op. 78, op. 90, op. 111) a fronte delle ventisei in tre o quattro. L’op. 49 non sembra aver problematizzato,
nella mente dell’autore, il problema formale: né i primi tempi, né i secondi
(finali) mostrano particolarità che li differenzino formalmente dai relativi
modelli in Haydn o ancora in Clementi. Nell’op.
54 primo tempo si discosta alquanto dalla forma tradizionale, occhieggiando
piuttosto un ABA ripetuto e variato senza un’effettiva elaborazione tematica,
mentre il secondo, come poi il finale dell’op.
57, è piuttosto uno studio sostanzialmente monotematico con episodi
intercalati.
Alquanto più attenta alle peculiarità
di una forma articolata in due soli movimenti è l’op. 78, cui l’autore sembra sia stato particolarmente affezionato.
Qui i due movimenti sono evidentemente calibrati l’uno sull’altro in senso
oppositivo. Già le quattro misure introduttive preannunciano per il primo
movimento un carattere dolcemente intimistico, poi confermato dal tema
principale e da tutta la condotta melodizzante del brano. Tutt’altra cosa il
secondo tempo, un Allegro vivace, a
metà strada tra l’episodicità di un rondò
e la ripetitività di uno studio. La preponderanza di un disegno quasi
clavicembalistico e coppie di semicrome si oppone nettamente alla metodicità
del primo tempo, anche se, a guardar bene, il vero tema di questo secondo
movimento, tema le cui ripetizioni pressoché invariabili suggeriscono appunto
la forma di rondò, mostra anch’essa
una sotterranea tendenza alla cantabilità.
Decisamente fondati sul rapporto
oppositivo, i due tempi dell’op. 90
sforano ormai la semantica interna al fatto musicale fino ad aprirla
simbolicamente a una semantica riguardante la specie umana tout-court. L’opposizione investe qui non solo la macroforma dei
due tempi, ma penetra all’interno del primo differenziando – e non solo
dinamicamente – proposta e risposta dal tema principale, quindi le due frasi
del medesimo, e, ancora, la frase conclusiva, quindi l’apertura di una parte di
raccordo al secondo tema, a sua volta articolato in un’esposizione, una
ripetizione variata e una formula cadenzale più volte ridondata. La dialettica
che ha permeato di sé fin nei più minuti particolari la struttura compositiva
del primo tempo si oppone ora globalmente a la quasi schubertiana adialetticità
ripetitiva del secondo, appena contraddetta da una momentanea vertigine
armonico-contrappuntistica (battute 203-218). La via è aperta verso il
raggiungimento supremo nell’Arietta
dell’op. 111.]
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