domenica 14 gennaio 2018

Tratta LI.2 (La sestina ipermetra) - Una possibile lettura politica della sonata per pianoforte op. 111 di Ludwig van Beethoven


[L’op. 111 è una delle sei sonate beethovenianie in due soli movimenti (op. 49, nn. 1 e 2, op. 54, op. 78, op. 90, op. 111) a fronte delle ventisei in tre o quattro. L’op. 49 non sembra aver problematizzato, nella mente dell’autore, il problema formale: né i primi tempi, né i secondi (finali) mostrano particolarità che li differenzino formalmente dai relativi modelli in Haydn o ancora in Clementi. Nell’op. 54 primo tempo si discosta alquanto dalla forma tradizionale, occhieggiando piuttosto un ABA ripetuto e variato senza un’effettiva elaborazione tematica, mentre il secondo, come poi il finale dell’op. 57, è piuttosto uno studio sostanzialmente monotematico con episodi intercalati.
Alquanto più attenta alle peculiarità di una forma articolata in due soli movimenti è l’op. 78, cui l’autore sembra sia stato particolarmente affezionato. Qui i due movimenti sono evidentemente calibrati l’uno sull’altro in senso oppositivo. Già le quattro misure introduttive preannunciano per il primo movimento un carattere dolcemente intimistico, poi confermato dal tema principale e da tutta la condotta melodizzante del brano. Tutt’altra cosa il secondo tempo, un Allegro vivace, a metà strada tra l’episodicità di un rondò e la ripetitività di uno studio. La preponderanza di un disegno quasi clavicembalistico e coppie di semicrome si oppone nettamente alla metodicità del primo tempo, anche se, a guardar bene, il vero tema di questo secondo movimento, tema le cui ripetizioni pressoché invariabili suggeriscono appunto la forma di rondò, mostra anch’essa una sotterranea tendenza alla cantabilità.
Decisamente fondati sul rapporto oppositivo, i due tempi dell’op. 90 sforano ormai la semantica interna al fatto musicale fino ad aprirla simbolicamente a una semantica riguardante la specie umana tout-court. L’opposizione investe qui non solo la macroforma dei due tempi, ma penetra all’interno del primo differenziando – e non solo dinamicamente – proposta e risposta dal tema principale, quindi le due frasi del medesimo, e, ancora, la frase conclusiva, quindi l’apertura di una parte di raccordo al secondo tema, a sua volta articolato in un’esposizione, una ripetizione variata e una formula cadenzale più volte ridondata. La dialettica che ha permeato di sé fin nei più minuti particolari la struttura compositiva del primo tempo si oppone ora globalmente a la quasi schubertiana adialetticità ripetitiva del secondo, appena contraddetta da una momentanea vertigine armonico-contrappuntistica (battute 203-218). La via è aperta verso il raggiungimento supremo nell’Arietta dell’op. 111.] 

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