sabato 1 agosto 2009

Alla Donna


Epistola Politica n° 45, dedicata a Donna Claude Cazalé-Bérard

La Bibbia si deve essere sbagliata. Perché creare prima l’uomo, che da solo sarebbe rimasto sterile, e poi la donna per rimediare alla deficienza di quello? Forse, se avesse creato prima te, il buon dio si sarebbe accorto che bastava così e che dell’uomo non c’era nessun bisogno. Ma è andata come è andata, e ti tocca convivere con un animale ottuso e violento che ha finito per guastare anche te ...

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No, non penso così, non ho un’opinione così negativa della specie umana con il sesso maschile solo ottuso e violento e quello femminile irrimediabilmente guastato. Né credo in una gerarchia tra i sessi con l’uno dominante sull’altro. Ma neppure credo nella loro uguaglianza che li svaluterebbe entrambi. Le cose stanno bene come stanno, solo che il buon dio non c’entra niente. Mettiamo pure che qualcosa come un dio esista. Tutt’al più potrebbe aver dato una spintarella iniziale, aver disequilibrato qualcosa che prima era in equilibrio, al resto ci ha pensato Darwin, o meglio l’evoluzione come lui l’ha intesa. E ora, noi che ci stiamo a fare? Forse a cercare di ristabilire l’equilibrio perduto? Ma per questo dobbiamo farci da parte, autodistruggerci. Ed è ciò cui stiamo alacremente lavorando. Non è possibile un’altra strada? Per esempio quella di creare un nuovo equilibrio o, meno presuntuosamente, di reinserirci in quello, dinamico, che gli altri viventi hanno costruito in un paio di miliardi di anni. Può darsi che sia proprio questo equilibrio così faticosamente raggiunto a reclamare la sparizione di Homo sapiens, nel qual caso la via che stiamo attualmente percorrendo sarebbe proprio quella giusta, anche se il prezzo da pagare per gli altri viventi sembra essere troppo alto. La sparizione della nostra specie implicherebbe infatti la contestuale sparizione di tutte o quasi tutte le altre, e non so se Gaia potrebbe sopportarla. Il rischio di vedere fallito l’intero progetto ‘vita’ per colpa di una sola sua specie è tale che converrebbe ad ambedue, Gaia e l’umanità, venire a patti. Nel qual caso le trattative sarebbe bene le conduceste voi, donne, visti i pessimi risultati ottenuti nei millenni di predominio maschile. Ma non è solo questione di rappresentanza, è il concetto stesso di ‘predominio’ che va eliminato.

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Ho aperto questa ‘epistola politica’ indirizzata a te con una piccola ‘fantasia allegorica’ fin troppo trasparente della situazione in cui ci troviamo. Anche l’auspicio finale –che a fare il grande tentativo di rappacificazione tra i popoli e con la terra siate voi donne– rappresenta un trend degli ultimi decenni: ne fa fede la crescente presenza dell’elemento femminile nei Parlamenti e negli organi di governo di molti stati. Siamo ancora lontani da una condizione di equilibrio, ma il processo sembra avviato. C’è però un fattore limitante che ha fatto sì che questo processo non abbia finora prodotto i frutti sperati: la ‘mascolinizzazione’ della partecipazione femminile.

Ti chiedo scusa per quanto appena detto, che non vuole essere una critica a quanto state facendo o tentate di fare, ma la constatazione di un’evidente difficoltà cui vi trovate di fronte. L’intera rete mondiale di rapporti culturali, economici, finanziari, rapporti dominati dall’idea del Potere, è stata costruita nei millenni dall’elemento maschile, di cui conserva l’impronta competitiva. Nella maggior parte dei mammiferi (classe a cui apparteniamo) la funzione sessuale del maschio è quella di selezionare i gameti con maggiore probabilità di sopravvivenza (questo ci dicono i biologi). Per raggiungere tale scopo i maschi hanno istituito forme di lotta, più o meno ritualizzate, dalle quali uscirà vincitore il più forte, il più dotato fisicamente, il miglior garante di capacità riproduttive. Anche in altre classi animali la competizione sessuale è affidata soprattutto ai maschi, cosicché il meccanismo stesso è risultato vincente su larga scala. Nella specie umana, come già in certe forme associative dei mammiferi, la competizione sessuale si è estesa a competizione per il Potere, e da questa è nata un poco alla volta una strutturazione sociale basata sulla supremazia del maschio, violenta quindi e altamente competitiva a tutti i livelli ... Di qui la guerra, la conquista, la sopraffazione culturale; di qui il governo esclusivamente maschile della cosa pubblica, religione compresa. Essendo siffatta la società umana, non ti è restato altro, quando ti sei avvicinata ai luoghi del Potere, che assumere per quanto potevi un habitus maschile. E questo hai per lo più fatto, anche nel momento in cui sopra questo travestimento maschile hai pensato di gettarne un secondo, di femminismo coatto.

Non credo sia questa, nuovamente competitiva, la via più tua, la via che potrebbe –forse, chissà– sottrarre la specie umana alla precoce fine cui l’ha condannata la competitività maschile. Penso lo sia piuttosto un passaggio di consegne dall’uomo alla donna, o meglio dalla mascolinità alla femminilità. Sappiamo infatti che, in termini biologici, la separazione fra i sessi non è così drastica come certi orientamenti culturali vorrebbero far credere. In ogni individuo è riscontrabile una mescolanza di mascolinità e femminilità in varia percentuale, cui partecipano attivamente anche gli ormoni. E il sesso emergente non è neppure detto sia quello biologicamente dominante. I caratteri sessuali secondari, pure evidentissimi, possono non essere indicatori sufficienti di eterosessualità. Il ‘passaggio di consegne’ di cui sopra potrebbe non riguardare la sessualità manifesta, ma la componente femminile, quale che ne sia il portatore. Il problema non è tanto biologico quanto culturale. È possibile spostare l’asse della culturalità umana dal maschile al femminile?

In altre parole: il Potere al femminile?

Penso non sia neppure questo. Vedo il concetto di ‘potere’ strettamente legato a quello di ‘competizione’. Se nessuno lottasse per il potere, questo non sarebbe tale e coinciderebbe tutt’al più con una ‘funzione interna’ alla società come l’hanno le ‘regine’ tra le api e le formiche o i ‘soldati’ tra le formiche e le termiti. Nessun particolare ‘potere’ in queste società di insetti, se non quello rappresentato da tutto il corpo sociale, ma utilizzato solo da alcune specie nei confronti di specie diverse (come se noi l’utilizzassimo solo nei confronti di gorilla e oranghi, cosa che peraltro facciamo anche questa). È quindi possibile –visto che c’è– una società perfettamente anarchica là dove il regolatore supremo dei rapporti sociali è l’istinto, o meglio la programmazione genetica. Dove invece all’istinto è subentrata la ragione, alla programmazione la libertà di scelta, la complessità è tale che l’anarchia non è più un’opzione proponibile. Il concetto di ‘potere’, anziché abolito, va quindi ripensato; va ricercato per lui un modello che non sia quello disegnato dalla competitività maschile. E a ridisegnarlo sarebbe bene fosse la componente femminile della nostra specie, chiunque, uomo o donna, voglia metterla a disposizione.

Ho aperto questa ‘epistola politica’ con una ‘fantasia antropologica’. Vorrei ora chiuderla, simmetricamente, con una seconda ‘fantasia’, cui prego il lettore o la lettrice di non dare maggior credito che all’altra. Tutte e due non vogliono essere che una finzione letteraria buona tutt’al più per indurre qualche riflessione.

Nell’inseguire le conseguenze di IMC –ipotesi metaculturale– mi è capitato di immaginare la storia della specie umana come divisa in due fasi: la prima dal suo affacciarsi –non si sa bene quando– sulla scena biologica fino ad oggi o poco oltre, ed è la fase che possiamo chiamare ‘culturale’, dominata dallo scontro tra popoli, culture diverse e nemiche; la seconda che ancora non conosciamo, basata sulla coesistenza pacifica di popoli e culture diverse. Chiameremo questa seconda: fase ‘metaculturale’. Così come la fase metaculturale non cancella i preesistenti elementi culturali, così questi contenevano già in precedenza l’enzima metaculturale non ancora riconosciuto.

Vedrei la ‘fase culturale’ determinata dalla componente maschile; auguro alla ‘fase metaculturale’, se mai riuscirà a istaurarsi, di essere determinata dalla componente femminile.
B.
Cantalupo, 1–VIII–09

1 commento:

Anonimo ha detto...

« Una donna »... a Boris

Nel rispondere all’Epistola politica (N° 45), che Boris mi ha così generosamente dedicato, faccio naturalmente e doverosamente riferimento al coraggioso e antesignano racconto autobiografico della bella e audace Sibilla Aleramo. Da grande scrittrice, poetessa, intellettuale impegnata Sibilla ha aperto la strada non tanto al femminismo militante ed egualitario – come rivendicato nelle successive generazioni - quanto a quello che Luisa Muraro, e la comunità filosofica Diotima, hanno definito il “femminismo della differenza”, e cioè un riconscimento della specificità della donna nelle sue modalità di pensiero, di azione, di creazione, non contro l’uomo né in concorrenza/competizione con lui, ma secondo una dinamica di complementarità e di stimolazione reciproca: è precisamente la saggia e avveduta posizione di Boris.
Muraro, nei suoi numerosi e importanti saggi, individua una «interlocuzione femminile plurale»: procedendo ad una critica (fondata su dati storici e documenti scientificamente validi) del sistema patriarcale e del discorso dominante, soprattutto nel contesto della cultura e della società medievali, la filosofa ricostruisce quell’«ordine simbolico della madre», multiplo, decentrato, problematico, per giungere a quella che lei definisce - con evidente riferimento alla letteratura e alla mistica - «l’intelligenza dell’amore»: si tratta di una disposizione e di una scelta, esistenziali e intellettuali, fondate sul dono, sulla gratuità del dono, la riconoscenza, la fiducia e l’affidarsi alla possibilità dell’altro. Scrive: «Di questa intelligenza, perché non sembri una cosa troppo misteriosa, dirò quello che sono riuscita a riconoscere grazie alla politica delle donne, che è la sua capacità di aprire un passaggio: dalla finitezza alla mancanza, dalla miseria della condizione umana [...] alla ricchezza senza fine di parlare, ascoltare, amare, sperare di essere amati» (Luisa Muraro, Ereditare il femminismo. Il senso della mia ricerca, Intervista rilasciata all’«Unità», il 23 febbraio 2000).
Mi sembra appunto che sia qui l’apporto del femminile: nella rinuncia a qualsiasi volontà di potenza e di sopraffazione, almeno per le donne che non hanno introiettato il modello maschile. Il che richiederebbe, per essere esteso all’intera società, un’inevitabile revisione dei paradagmi. Nel campo filosofico – insegna, tra altre, Muraro – si tratterebbe di superare la binaria «metafisica/antimetafisica occidentale» che «ci fa credere che l’essere dipenda da una nostra misura, che si è chiamata verità, giustizia, virtù, diritto, scienza».
Il riconoscimento della “differenza” - anzi delle “differenze” (non solo femminili quindi, ma di qualsiasi individuo, gruppo, cultura, linguaggio) – risulta da una posizione critica, da una presa di distanze rispetto alla storia, alla filosofia e ad ogni forma di tradizione scritta e orale dal punto di vista femminile, che in realtà sussume il punto di vista di tutte le categorie oppresse, marginalizzate, ammutolite da secoli di schiavitù e di alienazione. Un tale riconoscimento comporta un approccio complessivo e una rimessa in questione dell’operato umano ed etico.
Il metodo metaculturale e l’esperienza portata avanti da Boris e dai suoi collaboratori, da anni ormai, sono la prova che questa strada può e deve essere percorsa per ricreare l’armonia distrutta dai sistemi imperanti i quali si reggono soltanto sull’invenzione di sempre nuove forme di conflitto, di sfruttamento e di violenza.

Claude