lunedì 10 agosto 2009

Seconda a Thomas


... questa non è una ‘vera’ lettera, di cui, da quando c’è Skype, non abbiamo più bisogno. È un’ ‘epistola politica’, destinata a una, anche se improbabile, pubblicazione. Ha quindi quel tanto di ‘artificiale’ che un genere letterario impone. Tenterò quindi di fare qualche considerazione di carattere politico sul rapporto tra l’attuale società (eterodiretta dal capitalismo mondiale) e la sua parte più giovane, quella da cui un poco alla volta ti stai allontanando.

Leggere di più ...

Nonostante la mia età cerco, per quanto mi è possibile, di conservare quel rapporto, che certamente giova assai più a me che all’altro termine. Al di là dei giovani con cui sono effettivamente in contatto c’è la grande massa di quelli di cui ci informano quotidianamente la tv, i giornali, internet. E non penso tanto alle cronache, ai gossip e agli infiniti pettegolezzi di cui ci giunge notizia, ma soprattutto al taglio che caratterizza l’attuale informazione, a ciò che viene considerato rilevante e ciò di cui non si ritiene opportuno neppure parlare. Così, nel campo di mia specifica competenza, la musica, non c’è giorno che non veniamo informati del numero di dischi venduti dal nuovo gruppo rock o dalla giovanissima cantante emergente. O – in campi apparentemente altri ma regolati dagli stessi meccanismi – a quanto è stato acquistato dalla squadra x il calciatore y. O ancora qual è l’ultima moda in fatto di tatuaggi o di capigliatura. E non è tanto ciò di cui si parla quanto è ciò che si mostra a imprimersi nelle menti impreparate a una ricezione selettiva; perfino ciò che apertamente si condanna diventa stimolo alla passiva emulazione, così l’assunzione di droghe, comprese quelle a effetto letale, la violenza contro le donne, i lavoratori stranieri, i barboni, le insulse prove di coraggio come la guida contromano e così via.

“Tu non fai che invocare indirettamente una censura che i regimi democratici rifiutano” potrebbe rinfacciarmi qualcuno. Non è certo il ripristino della censura che risolverebbe i problemi di un’informazione sottomessa agli interessi di chi la gestisce. Il discorso è ‘politico’ e va affrontato fuori dalla sfera del ‘ritorno economico’. L’informazione credo non sia mai politicamente neutra. Andrebbe quindi vagliata e diffusa in rapporto
- alla sua pubblica utilità
- alla capacità media dei riceventi di penetrarla criticamente.

Quanto alla ‘pubblica utilità’, quale commissione, come composta, la giudicherebbe? Certo una commissione ‘politica’ ma non legata ai partiti. E’ possibile una politica non partitica? Lascio aperto il problema, per riprenderlo però tra poco.

Analogo, anche se apparentemente di più facile soluzione, il secondo punto: la penetrazione critica del pensiero medio dipende dalla formazione ricevuta. Questa è oggi ancora fortemente ideologizzata anche se la scuola non vuole o non può ammetterlo. La società stessa è ideologizzata nonostante i suoi vertici politici si affannino a negarlo: basterebbe a dimostrarlo l’acritico discorso sui valori –di libertà, democrazia, cristianità ...– che gli stessi vertici, quali che siano i partiti, continuano a fare. E fin quando l’autocritica non raggiungerà i più o meno nascosti presupposti ideologici di ciò che viene detto, l’ipotesi di una politica non partitica resterà perdente. Sappiamo che una tale autocritica è alla portata di tutti, purché indotta da una formazione adeguata. Ma, perché nella società venga praticata una tale formazione, è necessaria una già formata volontà politica, e perché questa vi sia, occorre appunto la stessa volontà politica che la formi. È noto che i bruchi della ‘processionaria’, se avviati lungo il bordo di un vaso circolare, continuano a marciare in tondo fino a che qualcuno cade per esaurimento e il cerchio si rompe ‘liberando’ i singoli individui. Anche noi possiamo ancora sperare nella rottura del circolo vizioso su cui si è incamminata la politica. Il punto è: la rottura avverrà in tempo utile? C’è modo di provocarla? Il circolo vizioso ha avuto inizio nel momento in cui la società mercantile addita se stessa a modello risolutivo per uscire dalla crisi che la sta soffocando e con lei l’intera biosfera. Analoga impasse aveva incontrato il modello comunista, che tuttavia ha avuto ancora a disposizione, come via di uscita, il modello concorrente con il quale tentare, per esempio in Cina, un’improbabile fusione. Al modello nostro non ci sono più alternative disponibili. C’è solo da costruirne una ex novo. Ci sta provando Obama, forte del fatto di non appartenere che in parte alla ‘razza dominante’, responsabile di ambedue i modelli storici. Se questo è il suo progetto –ma ne siamo sicuri?-, riuscirà a realizzarlo contro le gigantesche forze che gli si opporranno?

Tradizionalmente i cambiamenti epocali –e quello che oggi si richiede lo sarebbe sicuramente– avvenivano tramite le grandi rivoluzioni; oggi anche queste, come le guerre, sarebbero troppo pericolose perché potrebbero trascinarci in un conflitto nucleare. Conviene cercare altre vie. ma chi dovrebbe farlo?

Non certo la mia generazione o quella che immediatamente la segue. La cosiddetta ‘generazione di mezzo’ è troppo impegnata e compromessa con il modello consumistico-concorrenziale per rischiare il salto nel buio. Non restate che voi, oggi intorno ai 20-30 anni, voi stessi vittime inconsapevoli del degrado culturale cui la forma estrema del capitalismo mondiale ci ha condotto. Se qualche speranza è ancora possibile, è in voi, o meglio in quelli di voi che usciranno più o meno indenni dal condizionamento omologante della cultura dei consumi. E qui il discorso torna a farsi personale.

Non intendo con questo scaricare su di te delle responsabilità che non ho saputo sostenere. A mia discolpa ripeto a me stesso –ma con scarsa convinzione– che prima c’era bisogno di costruire e sperimentare nella pratica i fondamenti teorici su cui basare una concreta azione politica. Ora penso di averli trovati, questi fondamenti, non più sul versante economico come Marx, ma su quello formativo. Inoltre non credo che ci siano altre vie d’uscita dal pericolo di estinzione se non un cambiamento generalizzato di mentalità, una vera mutazione antropologica che ci faccia transitare, con un minimo di traumi possibile, dall’era delle culture (e delle guerre) all’era metaculturale della pace. Non so se ci riuscirete. La cosa non mi riguarda più ma sono spaventato dall’inerzia che mi circonda. Oggi alcuni strumenti per intervenire ci sono. Appropriatevene, ampliateli, modificateli, ma soprattutto servitevene. Questa non è la paternale di un padre preoccupato per il futuro di suo figlio. È un ‘epistola politica’.

B.

Cantalupo 10-8-09

2 commenti:

Claude Cazalé-Bérard ha detto...

Carissimi,

anche questa lettera politica di Boris è forte, vera, impressionante di lucidità e di coraggio! Sta infatti ai nostri giovani proporre, avviare e costruire quel ribaltamento psicologico, etico e politico assolutamente necessario che invece la nostra generazione di occidentali viziati dal consumismo e dal progresso tecnologico non ha saputo (o voluto) intrapredere. Condivido pienamente lo spavento di Boris per la tragica e colpevole inazione dei potenti (e aggiungerei di buona parte degli intellettuali...), per l'incosciente assuefazione della maggioranza agli allarmi, come per altro alla guerre e ai massacri le cui immagini non distolgono dall'ossessiva e cieca ricerca del benessere quotidiano. La cosa più difficile è appunto sviluppare uno spirito critico, un'autonomia di giudizio, il che richiede un impegno di ogni istante, un autocontrollo doloroso, un'attenzione senza concessioni, insomma una forma di ascetismo (per dirla come Simone Weil, che tra altre proposte sovversive voleva incominciare con sopprimere i partiti ...! ) del tutto controcorrente.

Ora i giovani potrebbero giustamente rinfacciarci di esserci goduti la vita negli agi,in una relativamente facile accumulazione di beni materiali ... mentre pretenderemmo di negarlo a loro: come tra l'altro parlare di "decrescita" a quei paesi che nemmeno hanno avuto un completo sviluppo ... Eppure non dobbiamo rinunciare a scavare in questa difficile direzione, a provocare dibattiti, discussioni ... È forse la sfida più grande che sia mai stata data da affrontare: perché non riguarda più un gruppo, un popolo, una nazione, o più nazioni in guerra tra loro ... ma l'umanità intera. Questo fatto unico nella storia dovrebbe colpire. Come Boris ha insistito caparbiamente nel dirlo tante volte: è in questione la sopravvivenza stessa dell'uomo. Purtroppo ci sono sempre quelli che credono di cavarsela alle spese degli altri: per prime le banche, responsabili del collasso finaziario che sta provocando una disoccupazione mai vista a livello mondiale, che sono ripartite alla grande con le stesse pretese di guadagno illimitato e gli stessi strumenti speculativi ...

Dopo quello dell'11 settembre 2001, questa crisi finanziaria-economica è un nuovo avvertimento che non è stato fatto motivo di autocritica e di completo ribaltamento del sistema capitalista, come invece avrebbe dovuto essere compreso con un minimo di assennatezza ... Quale sarà il prossimo? Mi accorgo che il mio commento è lunghissimo: scusatemi cari amici. Ma questi problemi mi accorano, soprattutto quando - come in questi giorni- ho sotto gli occhi il sorriso inconsapevole dei miei teneri nipotini.

Un forte e affettuoso abbraccio a tutti, compreso Thomas che ancora non conosco e che saluto con grande simpatia.

Claude

Rigobaldo ha detto...

Gentile Claude,

non c'è dubbio che spetti ai giovani, più che a nessun altro, l'iniziativa nel campo politico-sociale. Sapessero stimolarci tutti a ridiventare cittadini, anziché elettori, anziché aguzzini inconsapevoli di noi stessi.

Coincido anche con la Sua analisi sulla sopravvivenza: l'argomentazione per sconsigliare la consueta corsa ai consumi a giovani e a paesi soggiogatiè assai lineare. Ormai non c'è più modo di dorarlo con altre vesti; ormai si sa che il consumismo produttivista è semplicemente suicida.

Cordialità,