lunedì 15 settembre 2014

Tratta XX.1 – Contenimento di che?



 [Del welfare mi sono occupato alcuni anni or sono in un breve scritto, riportato anche in queste Indagini nel Volume IV. Senza far riferimento a quel testo –di cui ho dimenticato il contenuto– riprendo qui, in forma ulteriormente accorciata, l’argomento, lasciando al lettore che ne abbia voglia il confronto con lo scritto precedente.]
* * * * *
[Dialogante 1]  Il termine anglosassone è oggi sulla bocca di tutti, anche di chi, come noi l’inglese non lo sa o sa pochissimo. Abbiamo avuto perfino ministri del welfare.
[Dialogante 2]  Credo che welfare non significhi per tutti la stessa cosa, per esempio per un europeo, un nordamericano o un giapponese.
[Dialogante 1]  Se il welfare viene misurato sullo standard della classe media nei vari paesi, la variabilità non può che essere assai alta.
[Dialogante 2]  Maggiore ancora se traduciamo il termine con ‘benessere’. Qui si entra addirittura nel soggettivo: il benessere minimo può non essere neppure paragonabile al tuo.
[Dialogante 1]  Penso che un concetto così indefinibile sia poco adatto all’uso politico. Eppure la politica se ne serve a oltranza.
[Dialogante 2]  Se traduciamo welfare con “condizioni di vita poco superiori allo stretto necessario”, l’ambiguità resterebbe probabilmente ancora troppo alta per definire utilmente uno standard di vita accettabile da tutti: che vuol dire ‘poco superiori’ o ‘stretto necessario’?
[Dialogante 1]  Che fare allora? Ricorrere al numero, alla quantificazione di questo ‘minimo accettabile’? Ma perché minimo se oggi intere popolazioni vivono ben al di sopra di questo minimo e per altre esso rappresenterebbe già un traguardo?
[Dialogante 2]  Durante la seconda guerra mondiale i popoli europei hanno dovuto, per quanto riguarda il cibo, adattarsi alle quantità prescritta dalla carta annonaria, comunque sempre superiori al ‘minimo accettabile’. Quelli che non si sono attenuti o potuto attenere alla prescrizione governativa hanno dovuto accettare condizioni ben più restrittive.
[Dialogante 1]  Ne concludi che, oggi come allora, la conservazione del welfare è legata a un regime repressivo?
[Dialogante 2]  Forse di contenimento…
[Dialogante 1]  Contenimento di che?
[Dialogante 2]  Contenimento dei consumi, delle spese, della produzione, del guadagno…
[Dialogante 1]  … tutte cose di cui oggi si invoca l’aumento…
[Dialogante 2]  … la famosa o famigerata crescita, senza la quale saremmo condannati alla sparizione…
[Dialogante 1]  … mentre sappiamo benissimo che non è così, che, se qualcosa ci condanna alla sparizione è proprio la crescita materiale.
[Dialogante 2]  Non però altri tipi di crescita, per esempio della consapevolezza.
[Dialogante 1]  Eppure, anche a livello divulgativo, si sta cercando se non altro di spaventare la gente con filmati, più o meno catastrofici, sul nostro immediato futuro…
[Dialogante 2]  … ma, a contrastare l’invadente povertà e più ‘logico’ pensare a una crescita che a un contenimento.
[Dialogante 1]  Che una crescita sia ancora possibile sembra dimostrato dagli ingenti guadagni di una minoranza e dalla gigantesca sperequazione economica tra ricchi e poveri.
[Dialogante 2]  Per assurdo un effettivo welfare si otterrebbe piuttosto accrescendo una povertà controllata che una ricchezza incontrollata.
[Dialogante 1]  La parola-chiave è quindi ‘controllo’.
[Dialogante 2]  Questo andrebbe esercitato in due direzioni opposte: verso il più e verso il meno.
[Dialogante 1]  Ma così si arriverebbe a un livellamento da un lato e dall’altro a un accentramento del potere di controllo che gli attuali intendimenti democratici mostrano di non gradire.
[Dialogante 2]  La democrazia ha evidentemente più facce e non è detto che quella attuale sia la migliore.
[Dialogante 1]  Occorrerà ancora molto studio e anche molta inventiva per progettare una democrazia che vada bene, oltre che a noi tutti, anche alla Terra.

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