Siamo o non siamo la nostra mente? Si e no: sì in quanto non saprei immaginare qualcos’altro che lo fosse, né perché; sono io a guidarla o a esserne guidato, vuol dire che non siamo la stessa cosa. Il cavallo e il cavaliere non coincidono anche se vanno nella stessa direzione. Ma se dell’uno facciamo un due è facile che un due diventi un quattro e poi un otto e l’io vada in briciole. “Poco male –dirà qualcuno– visti i disastri che produce…”. Con l’io –dirà qualcun altro– scomparirebbe però la vita cosciente e forse la vita stessa, privata così del suo fattore evolutivo”. Appena abbandoniamo l’unicità dell’uno-tutto parmenideo, cadiamo nella pluralità innumerabile dell’atomismo o dell’insiemistica (gli insiemi ricavabili da un insieme sono sempre più numerosi degli elementi che lo compongono).
Scegliamo quindi una delle due opzioni, ‘io e mente coincidono’ –l’altra (‘io e mente non coincidono’) l’abbiamo di fatto già discusa–, e inseguiamone le conseguenze.
Se il nostro io altro non è che la nostra mente, tutto ciò che la mente fa e pensa lo ritroviamo riflessivamente in noi, anzi, più precisamente, è parte inseparabile di noi stesso. Noi siamo ciò che facciamo e pensiamo. Molto di ciò che facciamo en pensiamo, ci viene però dall’esterno –di questo siamo coscienti–; ora però è nostro e interessa solo gli storici del pensiero rintracciarne le origini. In altre parole la mente è come un buco nero: trattiene tutto ciò che riceve, compreso l’io che riceve della riflessione. Una minima parte ‘evapora’, cioè si perde per alimentare, forse un’altra mente. Il grosso si accumula però a formare l’immensa riserva del ‘pensiero umano’.
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