sabato 2 aprile 2016

Tratta XXXVIII.3 – Stereogramma

[Dialogante 1] Considero la musica uno stereogramma delle facoltà intellettive della specie umana. 
[Dialogante 2] Perché la musica e non un altro linguaggio?
[Dialogante 1] Perché impegna, oltre all’intelletto propriamente detto, la sfera emozionale in forma diretta, cosa che nessun altro linguaggio è in grado di fare, non almeno a livello della musica.
[Dialogante 2] Ma la parola può commuovere tanto e più della musica. 
[Dialogante 1] Grazie al suo significato, ma, se prescindiamo da esso, la parola può coinvolgere emotivamente tutt’al più con l’intonazione, qualcosa che ci porta nelle vicinanze della musica.
[Dialogante 2] La parola tuttavia, con il suo significato sia denotativo che connotativo, può addirittura travolgerci, mentre la musica ha, in realtà, un rapporto troppo blando per influire su di noi in maniera ‘causale’.
[Dialogante 1] Che vuoi dire?
[Dialogante 2] Che con la parola possiamo tradurre in sequenze lineari di suoni alfabetici le strutture complesse di situazioni non lineari e così portare a diretto contatto queste situazioni con il ricevente. 
[Dialogante 1] Un contatto che può essere casualmente dirompente, che non direi però diretto ma ‘mediato’, non tanto dal suono della parola (che potrebbe essere scritta), ma dal suo significato. La musica agisce invece, seppure raramente in maniera ‘dirompente’, per semplice contatto con le apparecchiature ricettive del corpo.
[Dialogante 2] Sai benissimo che anche la musica non si dirige all’orecchio ma alla mente e che l’orecchio è, letteralmente, il portavoce incaricato della trasmissione. La musica ha quindi un suo significato, non necessariamente verbalizzabile ma altrettanto chiaro di quello della parola.
[Dialogante 1] La cosa si fa particolarmente interessante quando i due ordini di significazione si sovrappongono, come nel canto.
[Dialogante 2] Perché l’informazione sia chiara, i due ordini pensi che debbano coincidere? 
[Dialogante 1] Che vuol dire ‘coincidere’ se i modi di significazione sono così diversi, come nella musica e nella parola?
[Dialogante 2] La coincidenza è soprattutto temporale, nel senso che, funzionando i due linguaggi nella contemporaneità, la mente ne riceve i relativi messaggi in sovrapposizione, e allora si hanno tre possibilità: o i messaggi si rinforzano a vicenda, o si contraddicono, o scorrono l’uno sull’altro nell’indifferenza. Naturalmente tra queste possibilità-limite è possibile collocare infiniti casi intermedi che per semplicità verranno riferiti ai casi-limite.
[Dialogante 1] Si apre così un ventaglio di possibili interazioni a discrezione del musicista: normalmente infatti è lui che lavora su un preesistente dato poetico. Più raro il caso in cui la parola si modella sulla musica, comunque è sempre l’interazione a determinare il messaggio nel suo complesso.
[Dialogante 2] Noto che hai parlato di ‘interazione’ non di ‘interpretazione’ (della parola da parte della musica). Questo certamente per sottolineare la pari dignità delle due componenti… 
[Dialogante 1] … parità che per altro non si osserva sempre, soprattutto nell’opera italiana, dove la musica spesso sopravanza la parola, perfino nel caso dell’eccellenza di un Da Ponte.
[Dialogante 2] Un caso a sé è costituito in area germanica dal Lied nel quale sembra rinnovarsi la simbiosi di cui si parla
 – perché non si conoscono esempi completi di notazione musicale – a proposito della lirica greca.
[Dialogante 1] Il terreno comune di parola e musica ha dato, oltre all’opera e al Lied, almeno due altri frutti di incomparabile ricchezza: il madrigale cinquecentesco e la vocalità bachiana (cantate, passioni).
[Dialogante 2] Penso che siamo d’accordo nel considerare il recitativo bachiano, la teatralità dell’aria mozartiana e la penetranza delle melodie schubertiane come i vertici della vocalità occidentale. 
[Dialogante 1] E Wagner?

[Dialogante 2] Wagner è un’altra cosa. È Gesamtkunstwerk, opera d’arte totale, di cui, credo, siamo incompetenti.

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