2.
[Dialogante 2] Non è per caso che hai tirato
fuori il termine “Beziehung”
(rapporto) e il nome di Thomas Mann per fornire un autorevole appoggio al libro
che non scriverai mai? Tratte sono
infatti le congiungenti di punti spazialmente
separati tra cui intendiamo in qualche modo istituire un rapporto.
[Dialogante 1] Hai colto nel segno. Mann è
sempre stato per me l’autore che più di ogni altro ha saputo collegare
metaforicamente il diverso, unificando tramite il pensiero fenomeni che nulla
sembrano avere in comune, come la storia di una famiglia di commercianti
lubecchesi e la crescente consapevolezza individuale della fine di un ciclo
storico, o una nuova tecnica musicale e il crollo fisico e morale della cultura
germanica ed europea in genere intorno alla metà del secolo scorso, o ancora la
vita in un sanatorio alpino e l’analisi di una società al tramonto. Ma non è
tanto la forza metaforica di questa tratta
a convincere il lettore dell’epoca manniana quanto la solidità strutturale
di ambo i piani della metafora, quello della vicenda realisticamente narrata e
l’altro, dell’analisi culturale simboleggiata.
[Dialogante 2] A sentirti parlare sembreresti
uno studente di germanistica invasato del suo autore preferito.
[Dialogante 1] A parte il fatto che lo sono
stato una sessantina di anni fa e tuttora lo sarei se mi occupassi ancora di
germanistica, posso dire che l’antica fiamma non si è mai spenta, e la ritrovo
oggi per esempio in un giovane collaboratore mio e del Centro Metaculturale, di
cui faccio volentieri il nome: Dario Peluso.
Nessun commento:
Posta un commento