domenica 10 gennaio 2010

Sopravvivenza?



Parliamo di sopravvivenza? Ma si dai!

Il nostro insistere sulla sopravvivenza come orizzonte ideologico di IMC da un lato parifica questa a qualsiasi altra ideologia togliendole ogni pretesa di superiorità. Dall'altro permette un'ampia convergenza culturale: la maggior parte degli individui risponderebbe positivamente alla domanda se ci tengono alla sopravvivenza.

Questa risposta potrebbe però essere irriflessa, quasi istintiva e riferita piuttosto alla propria persona o tutt'al più all'umanità circonvicina. Alla sopravvivenza di una tribù amazzonica o della nostra stessa civiltà tra un migliaio di anni ci mostreremmo assai meno interessati e poco disposti a sacrificare anche solo una piccola parte del nostro benessere attuale. La nostra congenita miopia per ciò che è lontano da noi nello spazio e nel tempo poteva forse essere un vantaggio evolutivo fin quando le nostre capacità di occupazione mentale dello spazio e del tempo erano limitate a piccoli intorni del qui ed ora. Oggi questa miopia sembra ci stia conducendo a una rapida estinzione. Ma sempre la stessa miopia ci fa sopravvalutare tale possibile estinzione rendendoci indifferenti nei confronti di altre estinzioni sia passate che presenti.

In questo senso IMC è più radicale di altre ipotesi. Il suo orizzonte ideologico non ammette compromessi: se ci teniamo alla sopravvivenza, dobbiamo renderci disponibili alla relativizzazione metaculturale –che, ricordiamo, non ha a che fare con la relativizzazione assoluta– e accettare le conseguenze che ne derivano.

E –per raccordare tra loro queste generali considerazioni sui rapporti tra UMC e sopravvivenza– vorremmo indicare nella relativizzazione metaculturale la costante metodologica da trasferire in ogni operazione che intendiamo compiere sul 'reale' o sul 'pensato'.

B.P. - Metaparole - 'Sopravvivenza'

4 commenti:

Rigobaldo ha detto...

Assodato che nella nostra presente condizione stiamo andando in senso piuttosto contrario, la domanda sarebbe - come evolvere verso la sopravvivenza?

Diversi scienziati (Hawking, ad esempio) segnalano da almeno vent'anni che il nostro particolare percorso come specie ha introdotto delle novità di rilievo, per le quali non c'erano precedenti. Durante la maggior parte dell'individuazione della specie -escludendo gli ultimi 10.000 anni- il principale meccanismo intraspecifico di trasmissione dell'informazione è stato interno: il DNA. Invece da allora l’accumulo di informazione esternamente trasmessa ha preso assolutamente sopravvento -con un'enorme accelerazione negli ultimi 300 anni-.

Nella prima fase -detta darwiniana- per modificare sul DNA alcuni milioni di bits 'utili' sono stati necessari milioni di anni. Hawking parla di un 'tasso di evoluzione' che, ad occhio e croce, sarebbe di 1 bit/anno.

Nella seconda fase -che potremmo dire post-darwiniana-, in specie recentemente, stiamo generando centinaia, se non migliaia, di miliardi di bit/anno di informazione esterna al nostro supporto biologico. Anche ipotizzando che il 99,9999% sia spazzatura 'non utile', la parte per milione che rimane farebbe un 'tasso di evoluzione' di 1.000.000 bit/anno. Sei ordini di grandezza in più! (Anche se fossero cinque, o quattro, o tre, sarebbe una enormità rivoluzionaria).

Queste costatazioni spiegano perché questi scienziati difendono che siamo entrati in una nuova fase evolutiva, nella quale bisogna prendere in considerazione questa informazione esterna.

Nella prima fase la scala di tempi dell’evoluzione è notoriamente lenta. Magari ci impiegavamo 100-200.000 anni per ottenere qualcosa di ‘nuovo’ – una nuova specie. Ma nella seconda fase l’accelerazione è straordinaria – magari con 50 anni, addirittura di meno, si può ottenere qualcosa di ‘nuovo’ – un nuovo paradigma, una nuova visione del mondo.

Così ci troviamo in una situazione di forte incoerenza strutturale tra il cervello che abbiamo e la mole d'informazione che dovrebbe gestire. Stiamo vivendo nella seconda fase con il cervello che è una eredità della prima.

Non bastano i mecanismi darwiniani per uscirne dall’inguippo. Non possiamo permetterci il lusso di aspettare 100.000 anni un Übercervello che ci arrivi attraverso il solito ciclo di mutazioni casuali e consolidamento delle medesime attraverso solezioni naturali. Molto, ma molto prima, l'homo sapiens rischia seriamente di fare patacrac – trascinandone una bella manciata di altre specie, purtroppo. Quindi ci tocca riconoscere questo stato post-darwiniano, e costruire questo ‘al di là del cervello’ che ci serve utilizzando strumenti esterni. La scienza esploratoria (e la fantascienza, da anni) ci suggerisce che ci siano spazi anche per qualche intervento interno, a livello del DNA. Ma anche supponendo che alcuni siano limitatamente possibili, toccherà certamente combinarli con molti, ma molti interventi nella sfera 'esterna'.

Penso che questi ragionamenti comuni diano un sostegno di fattibilità e di pertinenza alla conosciuta ipotesi di Porena – provocare una mutazione metaculturale, riconoscendo che, in questa fase post-darwiniana, dobbiamo risolvere la contraddizione cervello<->cultura (così come le contraddizioni parallele interno<->esterno, uomo<->ambiente, individuo<->società), utilizzando strumenti che ci portino al di là dello stadio culturale. Al di là dell’uomo e del suo cervello così come li conosciamo oggi.

la piccola ha detto...

fabbricare un programma inserendo ( se così si può dire, e me ne scuso) la teoria metaculturale in forma di codice informatico e sotto porre il programma alla pioggia di informazioni esterne

analizzare i risultati

Rigobaldo ha detto...

Salve Monica,

Direi che il programma c'è già qui - basta la umilissima forma del foglio raccolta commenti di un 'oblog' gratuito ... per sospendere il principio di non contraddizione!!!

Piovete, piovete, informazioni esterne!

Oh sì analizzeremo -insieme!

Cordialità,

boris ha detto...

Cara Moni
un contributo su cui riflettere, ma non da me, che di internet capisco poco e niente. Continua!
B.