Giovanni da Modena, Inferno (1410), Basilica di San Petronio, Bologna
[Dialogante 1] Che vuol dire essere ‘competenti di morale’?
Forse l’aver letto la Critica della
ragion pratica?
[Dialogante 2] Non credo che il concetto di ‘competenza’
eminentemente cognitivo si addica a quello di ‘morale’ essenzialmente
pratico-comportamentale.
[Dialogante 1] D’accordo. Posso conoscere la sterminata
letteratura sull’argomento e comportarmi da immorale.
[Dialogante 2] Ma che vuol dire ‘comportarsi da immorale’?
[Dialogante 1] In ambito cattolico la ‘morale’ riguarda
soprattutto la sfera sessuale. Il prototipo dell’immorale è il dissoluto punito, cioè Don Giovanni.
[Dialogante 2] Più che immorale lo direi ‘amorale’ in quanto
non sembra interessato a contestare la morale corrente bensì la ignora del
tutto. Se la contestasse la riconoscerebbe. Su questo punto Mozart e Da Ponte
non potrebbero essere più chiari: Don Giovanni viene “ingluviato” non perché ha
trasgredito alcunché, ma perché non ha nulla di cui pentirsi. Il suo mondo non
conosce ne colpa ne pentimento, è incommensurabile per chi vive nel regno della
morale. Da Ponte lo dice con chiarezza, ma Mozart lo conferma oltre ogni
ragionevole dubbio…
[Dialogante 1] E l’ascoltatore è quasi ‘costretto’ a
prendere le parti di Don Giovanni.
[Dialogante 2] E tu ti senti ‘costretto’?
[Dialogante 1] Un tempo forse sì, quando ero influenzato più
dalle nebbie del romanticismo neocattolico che dai lumi del razionalismo
settecentesco; oggi però credo di aver acquistato sufficiente autonomia da non
subire più i ricatti della morale.
[Dialogante 2] Ma allora, senza più i binari della morale,
come giudichi delle ‘deviazioni’ tue e degli altri?
[Dialogante 1] Non so nulla di ‘deviazioni’. Conosco solo
vie differenti e non vedo altro modo di valutarle, se non in rapporto a quelle
segnate nell’UCL.
[Dialogante 2] Relativismo culturale, quindi? Sì, con l’avvertenza
che questo UCL è in continua espansione e tende a comprendere, almeno per certi
aspetti – tra cui la morale – l’intera umanità…
[Dialogante 1] … il che non implica per altro l’ideologizzazione
della morale a sistema valutativo ‘assoluto’. Vuoi dire che, nonostante l’espansione
universale, essa mantiene un valore locale, valutabile solo caso per caso…
[Dialogante 2] … una palese contraddizione che le società
hanno perlopiù risolto sdoppiando l’istanza giudicante: da una parte la
giustizia, amministrata dai tribunali sulla base della legge, dall’altro il ‘senso
morale’, presto fagocitato dalle religioni che hanno finito per investirvi la
maggior parte dei loro principi.
[Dialogante 1] Ma questo ‘senso morale’ non è esso stesso un
prodotto delle religioni?
[Dialogante 2] In gran parte penso di sì, anche se non
saprei negargli più profonde radici etologiche, come l’istinto di sopravvivenza,
o quello della socialità per le specie che l’hanno.
[Dialogante 1] Non credi che in quest’ultima abbia una parte
rilevante anche la cultura?
[Dialogante 2] Certamente. Ritengo anzi che la morale sia
essenzialmente un fatto culturale, più o meno sviluppato nelle specie sociali,
assente del tutto, salvo che nei rapporti parentali, nelle specie solitarie.
[Dialogante 1] Quindi non vedi neppure nella moralità un
indice evolutivo di qualche importanza?
[Dialogante 2] Effettivamente non lo vedo. Così come non ci
vedo un particolare indice di maturità culturale. Azioni, oggi non approvate
dalla morale corrente, come lo schiavismo o la discriminazione razziale, erano
di tutta normalità fino a pochi decenni fa e ancora lo sono in alcune società…
[Dialogante 1] … e, anche se tendono a scomparire, ciò non
vuol dire che siano moralmente superiori a quelli che ci hanno preceduto.
[Dialogante 2] A me per esempio non sembra che l’attuale
modello di democrazia, basato sul profitto, la concorrenza, su ‘vinca (cioè
sopravviva) il migliore’ sia il top
della morale, appunto il modello verso cui tutti tendono.
[Dialogante 1] Probabilmente è
solo il meno peggio, ma ciò non ci esime dal cercarne dei migliori, soprattutto
in relazione ai molti che il peggio lo conoscono per davvero.