martedì 27 maggio 2014

Tratta XII.4 – Avvicinarci quanto basta alla certezza...



[In che cosa una scuola probabilistica si differenzierebbe da una metaculturale? Il calcolo delle probabilità è appunto un ‘calcolo’ – si basa su rapporti numerici, ha quindi un fondamento razionale, anche se i suoi risultati non sembrano affermare o negare alcunché di definito. Sul calcolo delle probabilità si può fare affidamento solo per i ‘grandi numeri’, mai nel caso singolo. Non è neppure chiaro quando un numero possa definirsi ‘grande’ abbastanza da avvicinarci quanto basta alla certezza. Come definire questo ‘quanto basta’? La probabilità e responsabile dei fallimenti e dei suicidi che fioriscono attorno alle scommesse e alle case di gioco. La probabilità non è che un numero cui si vuole attribuire una facoltà magicamente predittiva che non gli appartiene più di quanto non appartenga a qualunque altro numero. Il paradosso è, per esempio, che sappiamo praticamente con certezza che se un miliardo di lanci di una monetina darà almeno una volta ‘croce’, ma che dopo 999.999.999 volte ‘testa’ il miliardesimo avrà sempre il 50% di probabilità di essere ancora ‘testa’.
IMC per contro non ha niente a che fare con il calcolo né con i numeri. Non è un’ipotesi scientifica né matematica, ma epistemologica, riguarda cioè il rapporto tra ‘pensiero’ e ‘cultura’ o, se si vuole, tra ‘sapere’ e ‘cultura’. Ciò che uno ‘pensa’ o ‘sa’, secondo questa ipotesi è sempre ‘modulato’ dal variabile convenuto sociale che chiamiamo ‘cultura’. L’apparente assolutezza di quest’affermazione è mitigata dal verbo ‘modulare’ che non ci dice né come né quanto.
Ambedue comunque, sia l’ipotesi probabilistica sia IMC sono viste –da una mentalità dogmatica– come destabilizzanti, quindi improponibili a livello di basse, in particolare nella scuola e nei processi educativi in genere. Noi invece, dopo decine di esperienza sul campo, riteniamo che l’esercizio del pensiero relativistico, nella sua variante metaculturale, vada promosso fin dalla scuola primaria, meglio e ancora più precisamente, per evitare il pericolo della cristallizzazione ideologica, oggi mortale.]

domenica 25 maggio 2014

Tratta XII.3 – L’unica certezza capace di durare nel tempo


  
[Dialogante 2]  Molti dicono di non poter vivere senza certezze.
[Dialogante 1]  Eppure vivono lo stesso.
[Dialogante 2]  Ma dicono pure di averle, le certezze. E non puoi provare che dicono il falso.
[Dialogante 1]  In ogni caso le loro certezze cadono con la loro morte.
[Dialogante 2]  No, se altri le assumono come proprie.
[Dialogante 1]  Vuoi dire se si forma una tradizione?
[Dialogante 2]  Sì, l’unica certezza capace di durare nel tempo.
[Dialogante 1]  Ma non è la certezza a durare, sono i suoi portatori punti distinti questi, si estingue anche la certezza…
[Dialogante 2]  A meno che non restino dei documenti, la cui vita è più tenace di quella  dei portatori.
[Dialogante 1]  Più tenace, certo, ma anch’essa a termine, e una certezza a termine che certezza è? Forse è meglio che ci abituiamo e abituiamo i nostri figli a farne a meno
[Dialogante 2]  Sarebbe come togliere il bastone a un claudicante.
[Dialogante 1]  Non necessariamente. Sarebbe come lasciarglielo con la raccomandazione di non fidarsi troppo. Magari accompagnando le parole con uno sgambetto…
[Dialogante 2]  … dopo aver provveduto a coprire il pavimento con un tappeto di spugna.
[Dialogante 1 e 2, a due]  La scuola avrebbe bisogno, non di una riforma, ma di un radicale cambiamento: da una scuola dei dati di fatto a una probabilistica e di qui ha una metaculturale.
[Dialogante 1, solo]  Pensi che una scuola del genere riscontrerebbe il favore degli insegnanti?
[Dialogante 2, solo]  Assolutamente no!
[Dialogante 1]  E allora, pensi di introdurla con decreto ministeriale?
[Dialogante 2]  Assolutamente no! Credo che introdurla di forza sarà il tempo.
[Dialogante 1]  Quando?
[Dialogante 2]  Non si sa.

sabato 24 maggio 2014

Tratta XII.2 – Un fondamentalista dell'agnosticismo?




[Dialogante 2]  Sono d’accordo con quanto dici sulla contraddizione, purché tu sia anche un buon costruttore di tratte…
[Dialogante 1]  … per evitare la schizofrenia?
[Dialogante 2]  Meglio, forse, per renderla tollerabile e produttiva. Credo infatti che una contraddizione schizofrenica ci faccia corrispondere all’irrazionalità del reale…
[Dialogante 1]  Come sarebbe: il reale non è razionale, come lo vorrebbero Cartesio, Newton e, sotto sotto, anche Einstein?
[Dialogante 2]  E rieccoti a fare il finto tonto! Oggi è forse rimasto solo il Papa e con lui i cattolici a credere nella fides et ratio.
[Dialogante 1]  Saresti un fondamentalista dell’agnosticismo?
[Dialogante 2]  Fondamentalista mai! Specie della ‘verità’!
[Dialogante 1]  Allora del dubbio?
[Dialogante 2]  Sai benissimo che, aderendo noi a IMC, non possiamo esserlo neppure del dubbio.
[Dialogante 1]  Allora di IMC!
[Dialogante 2]  Vedo che fai di tutto per farmi cadere in contraddizione.
[Dialogante 1]  Come se la cosa mi preoccupasse!
[Dialogante 2]  Vuoi dire che con IMC non c’è contraddizione possibile?
[Dialogante 1]  Al contrario: con IMC tutto è in contraddizione con tutto, anche con se stesso.
[Dialogante 2]  Qui hai messo un piede in fallo: hai enunciato un principio assoluto.
[Dialogante 1]  Non esistono forse gli assoluti?
[Dialogante 2]  Certo che esistono. Il problema è dove.
[Dialogante 1]  Dappertutto. Basta che qualcuno lo fermi. In quel punto l’assoluto c’è. Non è detto che ci sia anche nel punto vicino.
[Dialogante 2]  E non è detto che, anche se ci fosse, sia lo stesso.
[Dialogante 1]  La certezza non l’abbiamo che per quell’unico punto.
[Dialogante 2]  … e non ci serve a nulla.
[Dialogante 1]  Ci serve a sperare.

venerdì 23 maggio 2014

Tratta XII.1 – Cosa secondo te fa un libro?



[Dialogante 2]  Dopo una parentesi di due tratte ritorniamo al filone centrale del nostro progetto con quattro saggi, e precisamente
Dal sapere al pensare (2003)
La convivenza pacifica nella diversità (2005)
La funzione formativa nell’era della globalità (2006)
La relazione d’aiuto ovvero la composizione simmetrica delle diseguaglianze (2010),
di cui i primi tre dedicati esclusivamente alla scuola, mentre l’ultimo va ampiamente oltre, riguardando la situazione attuale di tutta la società.
[Dialogante 1]  Ma come fai a parlare, come nel titolo di queste annotazioni, di un libro che non scriverai mai, se già i quattro saggi succitati formano da soli un libro, e neppure troppo sottile?
[Dialogante 2]  Primo, i saggi sono disomogenei e non sono stati pensati come parte di un libro. Secondo: il quarto saggio non ha la stessa destinazione dei primi tre. Terzo: quest’ultimo scritto non ha né il carattere di ‘saggio’ (ma non l’aveva neppure il secondo) né quello di ‘libro’.
[Dialogante 1]  Perché, cosa secondo te fa un libro?
[Dialogante 2]  Non voglio apparirti come un nominalista, ma non chiamerei ‘libro’ un’accozzaglia di appunti, disseminata di parentesi, come questa.
[Dialogante 1]  Per me è libro qualsiasi insieme di fogli da rilegato e provvisto di copertina – che venga utilizzato come tale.
[Dialogante 2]  Non smentisci mai la tua ascendenza wittgensteiniana!
[Dialogante 1]  Con la quale non puoi non concordare.
[Dialogante 2]  Ovvio, anche se non è detto che uno debba per forza concordare con se stesso…
[Dialogante 1]  … anzi vive meglio se è capace di contraddirsi.

giovedì 22 maggio 2014

Tratta XI.6– È bene andarci piano



[Dialogante 1]  Quindi per te la ragione è in grado di rispondere a varie richieste della mente e non solo a quelle che chiamiamo ‘razionali’. Non posso ovviamente che dirmi d’accordo. La mente è molto più che non la sola ragione. Può anche essere irragionevole, anzi, non di rado dà il meglio di sé proprio quando lo è. E non è neppure detto che le due condizioni della ragionevolezza e della irragionevolezza siano separate da confini netti. Può addirittura darsi il caso che stia irragionevole tentare di distinguere. Questi casi ‘borderline’ sono anzi i più frequenti; parliamo allora di ‘intuizione’, quasi una facoltà magica che per gli idealisti è caratteristica dell’attività artistica. Mentre è probabilmente molto più diffusa se non onnipresente nella produttività umana. Nelle ricerche condotte dal Centro Metaculturale tra i bambini di scuole primarie, ma anche con adulti, si è visto come l’emergenza di un intuito qualificabile come ‘estetico’ è riscontrabile in pressoché tutti i soggetti che non siano stati avviati allo studio specifico di qualche arte (musica, pittura, danza…). Ovviamente questo intuito è presente anche negli altri, dove però è per lo più obliterato dalla ‘competenza’. Non ha tutti i torti Croce quando riserva all’estetica uno spazio diverso dal ‘sapere e dal ‘saper fare’. Si conoscono musicisti, pittori ecc. che, non conoscendo a sufficienza la loro arte, hanno dovuto inventare una che solo a distanza di tempo è stata riconosciuta tale, quando si è visto che in condizioni analoghe funzionava benissimo.
                     Mente e ragione non sono dunque la stessa cosa. Così anche ragionevolezza e irrazionalità. In genere l’economia vuole che, se c’è già una parola che ricopre a sufficienza un campo semantico, non ci serve una seconda che faccia lo stesso. Esigenze di varietà impongono spesso di piegare la parola ad esperienze, concetti diversi da quello cui era legata in origine. Talvolta l’operazione riesce, arricchendo addirittura la parola di un alone semantico insospettato. Anche qui entra in gioco l’intuito estetico. È bene però andarci piano con queste sostituzioni: è facile farsi disarcionare da un destriero colto da dissennatezza.

mercoledì 21 maggio 2014

Tratta XI.5 – Voler razionalizzare ogni esperienza



[Dialogante 2]  Ancora una volta una semplificazione indebita. Da un punto di vista fisico la musica sarà pure l’arte dei rapporti di tempo, come Stockhausen ha brillantemente dimostrato in un famoso saggio del 1956[1] (dove peraltro la cosa che resta inanalizzata è proprio il concetto di ‘tempo’, restato fermo ad Agostino, tutt’al più a Kant), ma il tempo non può certo ridursi al numero (e lo stesso Stockhausen lo ammette), e così anche la musica non può ridursi al ritmo, come accade in molta musica (leggera) di oggi. Del resto al numero è stato assegnato un ruolo forse eccessivo nella comprensione del mondo, tanto è vero che per sostenerlo la matematica ha dovuto moltiplicare all’infinito i suoi strumenti di analisi in modo di coprire con i diversi tipi di numero (razionali, irrazionali, reali, irreali, complessi ecc.) tutti gli spazi che man mano si sono aperti. E anche il tempo si dimostra analizzabile secondo diverse modalità, molte delle quali non riconducibili all’idea di numero, per esempio le modalità esperienziali, tra cui la memoria, la durata biologica, l’intensità emotiva ed espressiva. È la cultura occidentale a voler razionalizzare ogni esperienza su base numerica, e così ha fatto anche con la musica. Per fortuna questa razionalizzazione, nella stragrande maggioranza dei casi resta sulla carta mentre nella realtà suona la musica viva delle emozioni dell’esecutore cui si aggiungono, ancora più irregolari, quelle dell’ascoltatore. Fanno eccezione le musiche ‘tecnologiche’, nelle quali le scelte esecutive sono domandate all’ottusità delle macchine. Non basta che le scelte di programmazione restino in mano umana, la perdita di responsabilità in tutte le fasi produttive che riguardano l’esecuzione dei programmi risulta alla lunga intollerabile, quando non annulli del tutto l’interesse per ciò che si ascolta.
Ma, si domanderà, la razionalità di per se stessa non può rimpiazzare l’interesse per l’imprevedibilità dell’arbitrio e del caso?
Certamente, ma occorre modificare le aspettative della mente.



[1]             Wie die Zeit vergeht (come passa il tempo), vol. 3 di Die Reihe (Texte 1, 99–139).

martedì 20 maggio 2014

Tratta XI.4 – Giocatore senza più speranze





[Dialogante 2 (solo)]  C’è però un’altra via di uscita ed è quella enunciata a chiusura della tratta precedente, solo che va integrata sostituendo al giudizio (logico) la pratica operativa.
[Dialogante 1]  E quale sarebbe?
[Dialogante 2 (solo)]  Al solito, fare finta di non capire. Voglio dire che non ci interessa tanto la verificabilità logica dell’Ipotesi quanto all’utilità pratica della sua applicazione. È cosa che abbiamo detto e ripetuto centinaia di volte…
[Dialogante 1]  … ma è come se sperassimo sempre di dimostrarla per via teorica, mentre riusciamo tutt’al più a dimostrare l’indimostrabilità…
[Dialogante 2]   da cui non dovrebbe essere difficile, per semplice inversione, dimostrare la sua dimostrabilità e di qui passare alla sua effettiva dimostrazione.
[Dialogante 1]  Vedo che anche tu ricadi sempre nella medesima trappola.
[Dialogante 2]  … la trappola che chiamerei ‘del giocatore senza più speranze’.
[Dialogante 1]  È la definitiva abdicazione del pensiero all’azione.
[Dialogante 2]  Abdicazione che mi auguro momentanea.
[Dialogante 1]  Che cosa hai contro l’azione?
[Dialogante 2]  Assolutamente nulla. Tanto più che non riesco a pensare l’azione sganciata dal pensiero.
[Dialogante 1]  Quindi secondo te il pensabile è anche fattibile?
[Dialogante 2]  Piuttosto: il fattibile è necessariamente pensabile!
[Dialogante 1]  Ma non necessariamente pensato. Si possono compiere azioni senza averle previamente pensate.
[Dialogante 2]  Forse non coscientemente riflesse, mi sembra però difficile credere che il pensiero non abbia parte nel dar forma a un’azione.
[Dialogante 1]  Le azioni hanno una forma?
[Dialogante 2]  Una forma nel tempo, nella successione dei microeventi.
[Dialogante 1]  Come in un brano musicale.
[Dialogante 2]  Non per nulla la musica è per eccellenza l’arte di articolare i rapporti di tempo.

giovedì 15 maggio 2014

Tratta XI.3 – Come costruire sull'acqua



[Dialogante 2]  Il punto non è se il pensiero è semplice o complesso. Il pensiero di Eraclito “Tutto scorre, Non potrai mai fare il bagno due volte nello stesso fiume” è di un’estrema semplicità, eppure vi si può ‘leggere’ nientemeno che l’idea stessa di ‘tempo’.
[Dialogante 1]  Che vuoi dire? Il tuo parlare è oscuro?
[Dialogante 2]  Non mi prendere in giro! Hai capito benissimo ciò che voglio dire.
[Dialogante 1]  Mettiamo pure che l’abbia capito io. Molti, troppi sono quelli che non l’hanno, a cominciare da tutti i filosofi venuti dopo.
[Dialogante 2]  Non credo che non l’abbiano capito; l’hanno rifiutato.
[Dialogante 1]  E perché mai?
[Dialogante 2]  Continui a fare il finto tonto… Perché un pensiero che rifiuta la stabilità dell’essere in favore della perennità del divenire è terribilmente scomodo, è come costruire sull’acqua.
[Dialogante 1]  Eppure gli armatori lo fanno e con piena soddisfazione dei clienti. Del resto una stabilità permanente sarebbe forse più scomoda ancora di una permanente instabilità.
[Dialogante 2]  E il ‘permanente’ che neutralizza, per così dire, l’instabilità, rendendola, appunto, permanente.
[Dialogante 1]  Come farebbe l’instabilità con il permanente cancellandone la stabile permanenza.
[Dialogante 2]  Ne concludiamo quindi che l’unica realtà possibile è la fusione dei contrari, secondo la definizione 2 di IMC[1].
[Dialogante 1]  Sempre lì andiamo a finire!
[Dialogante 2]   Ciò può voler dire due cose:
che IMC è una sciocchezza,
o che è l’assoluzione di tutti problemi.
[Dialogante 1 e 2, a due]  Noi ci asteniamo dal giudizio.


[1] "IMC coincide con la sospensione del principio di non contraddizione." Vedere Libro Primo - Esposizione di IMC - Capitolo Primo, Che cosa intendiamo per IMC?, pag. 11 - Volume III – L’Ipotesi Metaculturale, Indagini metaculturali – Pratica e pensiero.

domenica 11 maggio 2014

Tratta XI.2 – Collegamenti plurimi



[Il fatto di scrivere il libro di un altro –o anche solo di arrangiare in forma leggibile gli appunti– è un modo di entrare in contatto immediato col suo pensiero, arricchendo quindi il nostro di un vasto campo di esperienze, strutturato diversamente da come avremmo fatto noi, ma proprio per questo assai ricco d’informazione difficilmente acquisibile in altro modo. Ho avuto più volte la fortuna di poter collaborare alla costruzione di un ‘ponte’ siffatto e non considero affatto perse le ore così impiegate.]

[Dialogante 2]  Dal resto i tanti anni –ormai avviati alla quarantina– di intensa collaborazione con i componenti del Centro Metaculturale, alcuni dei quali attivi dalla prim’ora, ha prodotto una sorta di collettivizzazione del pensiero che dà un senso più che solo grammaticale al noi che usiamo nella maggior parte dei nostri scritti.
[Dialogante 1]  Così anche il fittizio sdoppiamento dell’autore di queste note vuole essere, per il lettore, un richiamo alla pluralità delle menti che le ha prodotte, pluralità comprendenti anche le migliaia di menti infantili con cui abbiamo dialogato in ogni parte d’Italia.
[Dialogante 2]  Lo stesso titolo, Tratte, di questo libro (come già detto al capitolo II di lontana ascendenza manniana) allude ai collegamenti plurimi che uniscono e fondano i nostri itinerari mentali nella diversificata unità di un pensiero metaculturale.
[Dialogante 1]  Non ti darei la palma della chiarezza per ciò che hai detto, ma conto sulla sagacia del lettore, forse non più nuovo a tali costruzioni mentali.
[Dialogante 2]   Per parte mia preferirei un’umanità avvezza alle contorsioni del pensiero a una tanto semplice da lasciarsi subornare da un pensiero inconsistente, purché sia in sintonia con il suo.
[Dialogante 1]  Un pensiero contorto non può essere inconsistente quanto e più di uno semplice?