giovedì 30 luglio 2009

Al Ministro della Pubblica Istruzione

Egregio Signor Ministro,

Come vede, evito la personalizzazione di questa mia ‘epistola’ perché non è nei miei intenti rivolgerLe una critica per una riforma che non condivido –come non condividevo tutte quelle successive ai Nuovi Programmi della Commissione Brocca ma che riconosco essere funzionale al modello di società in cui viviamo. Non ho neppure da proporLe una ‘controriforma’ che Lei non potrebbe prendere in considerazione e che io non ho la presunzione di ritenere più valida della Sua, anche perché per pronunciarsi nell’un senso o nell’altro occorrerebbe un congruo periodo di sperimentazione sul campo. Vorrei solo rendere partecipe Lei, e chi come Lei ha a cuore la formazione dei cittadini del nostro paese, di alcune considerazioni nate da trentacinque anni di sperimentazione pedagogico-didattica condotta nelle più diverse situazioni educative dagli operatori del Centro di Ricerca e Sperimentazione Metaculturale.
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Queste considerazioni, come le linee metodologiche seguite e i risultati ottenuti sono ovviamente esposti in numerosi scritti, solo in minima parte pubblicati, e qui non potrò che tentarne una sintesi, o piuttosto accennare ai punti che distinguono il nostro orientamento formativo ‘metaculturale’ da quelli culturali tuttora dominanti nella scuola.

Alla base dell’orientamento metaculturale sta la riflessione su alcuni concetti assunti acriticamente dalla maggior parte degli insegnanti, soprattutto della fascia primaria, quella che più ci interessa. Ne nomino quattro:
• il concetto di sapere,
• il concetto di nozione,
• il concetto di disciplina,
• il concetto di cultura.

Quanto al primo, il sapere, è da secoli privilegiato da una cultura, come la nostra, attenta alla ‘patrimonializzazione’ delle conoscenze e al loro ‘rendimento’ pratico. ‘Il sapere per il sapere’, ma anche ‘sapere per produrre’: in ambo i casi il sapere viene assimilato a una forma di ricchezza, il che, specialmente se paragonato con la ricchezza in denaro, va benissimo. Ma prima del sapere o –se si vuole, accanto– c’è ciò che lo genera: il pensiero. Si dirà: piuttosto l’osservazione. Giusto, ma l’osservazione interpretata attraverso il pensiero. Forse che a scuola non si impara a pensare?

Direi che si impara –quando lo si fa– più di quanto non si pensi. E nell’imparare c’è un fondo di passività che non c’è nel pensare.
“Neppure quando si ripensano cose già pensate milioni di volte?”
“Vuoi dire quando si ripensano cose ‘imparate’?”
“Ma è pensabile un pensiero che non poggi su cose imparate?”
“Forse no, ma ciò che conta è il pensiero nuovo che ne nasce.”
… (continua)
A scuola –intendo la primaria e ancor più la media– il pensiero, se non coincide con ciò che l’insegnante e i libri considerano il sapere, viene di regola censurato come errore. L’interrogazione, l’esame, il compito scritto servono anzitutto a misurare l’acquisizione di sapere e a rilevare l’errore. Raramente incentivano il pensiero. In un recente libretto intitolato Dal sapere al pensare (2003) ho ipotizzato una riforma che sposti il baricentro formativo senza ovviamente trascurare l’acquisizione di sapere, ma rifunzionalizzandolo all’incentivazione del pensiero.

Strettamente collegato al sapere è il concetto di nozione. Nella scuola tradizionale –ma anche in quella odierna– la nozione, pur se criticata quando genera il ‘nozionismo’, la fa ancora da padrona. Più che altro per l’impreparazione degli insegnanti: è molto più facile ‘valutare’ un allievo domandandogli quando è morto Napoleone anziché chiedendogli che ne pensa dei rapporti tra Napoleone e la Rivoluzione dell’89, oppure, in prima elementare, quanto fa 2+2, anziché come mai fa 4.

Attualmente la nozione è fortemente svalutata dalla facilità con cui possiamo reperirla. Fino a pochi anni fa per sapere la successione delle ere geologiche o dei papi nel Rinascimento era necessario consultare testi specializzati o enciclopedie pesanti e costose; oggi basta un ‘clic’ e la nozione ci appare, pulita e garantita, su un display formato trasportabile. Recentemente mi è capitato di leggere un elaborato di scuola superiore interamente composto di nozioni ricavate da Wikipedia. Sì, c’era da tener conto del lavoro di ricerca e di assemblaggio, ma di un apporto di pensiero originale neppure l’ombra. Un altro elaborato, più sconnesso e impreciso, ma contenente embrioni di pensiero non convenzionale, ho saputo poi essere stato decisamente rifiutato dall’insegnante.

Come è noto, le ‘nozioni’ si collegano tra loro secondo criteri culturalmente predeterminanti a formare le discipline, anche queste dominanti negli istituti scolastici. Probabilmente la parcellizzazione del sapere in discipline, separate tra loro da transenne pressoché invalicabili, si deve più a esigenze di specializzazione professionale che a utilità pratica. Per esempio una disciplina –o ‘materia’– come l’italiano non si vede perché si configuri nella scuola come un insegnamento autonomo, visto che costituisce il veicolo linguistico di molte altre discipline, matematica compresa. Da lungo tempo si sono individuate anche molte transdiscipline tra cui la semiotica, la linguistica, la logica; stranamente alcune di esse, per ottenere titolo di accesso all’universo del ‘sapere’, hanno dovuto assumere lo statuto disciplinare. Mi rendo ben conto che restituire alle transdiscipline la loro trasversalità rischia di comprometterne l’integrità metodologica, ma, nella scuola primaria almeno, la loro funzione unificante delle discipline nel ‘pensiero’ umano ritengo meriterebbe maggiore attenzione. Lo stesso concetto di ‘cultura’, nonostante la sua grande complessità, può gradualmente entrare nel campo osservativo di un alunno di scuola primaria. Osservarlo non vuol dire semplicemente viverci dentro, ma assumere punti di vista esterni e variabili. Secondo IMC, Ipotesi metaculturale, da noi adottata da una trentina d’anni “ogni nostro pensiero o atto, se non altro in quanto comunicabile, ha una componente ce va relativizzata alla cultura che l’ha prodotta”; di qui la conseguenza che non esistono secondo IMC punti di vista extraculturali, esterni a ogni cultura, ma solo riferibili a culture diverse, che si tratta volta per volta di riconoscere e dichiarare. Sempre secondo IMC non sono culturalmente raggiungibili certezze assolute, ma solo relative a Universi Culturali Locali (UCL). Dicono alcuni pedagogisti e studiosi di psicologia infantile che i bambini hanno bisogno di certezze per costruire la propria individualità. Le esperienze da noi condotte (come Centro Metaculturale) non confermano questa tesi, anzi dimostrano la possibilità di una formazione ‘metaculturale’, relativistica. La variante ‘metaculturale’ del relativismo ne corregge la forma assolutizzante –tutto è relativo– ammettendo le certezze, purché localizzabili entro un qualche UCL. Pedagogicamente ciò significa che fin da bambini è bene che ci abituiamo a circoscrivere le nostre ‘certezze’ entro sistemi osservativi, conoscitivi, il più possibile definiti, tali però da conservare la disponibilità di aprirsi ad altri sistemi, altre ‘certezze’. La certezza di 2+2=4 è tale solo se si definisce ‘numero’ in un certo modo, se si stabiliscono certe regole operazionali ecc. E anche allora, ha dimostrato Gödel, la matematica non è un sistema chiuso e completo.

IMC comunque è stata avanzata, non per amor di teoria né per ambizioni filosofiche, ma solo per ragioni ‘pratiche’, cioè per la sopravvivenza. È abbastanza evidente che, fin quando ci si poteva permettere il ‘lusso’ di guerre con alcune decine di milioni di morti (come la seconda guerra mondiale), si poteva anche rischiare di far prevalere le proprie ragioni. Oggi il rischio è troppo grande: ne va della sopravvivenza della specie homo sapiens. Forse il primo capo di stato che l’ha visto con chiarezza è Obama, almeno così si spera. Ma non basta un Obama. Occorre che un po’ alla volta tutti lo diventiamo, compreso Ahmadinejad. Ma occorre soprattutto che lo diventino i nostri figli e nipoti. E perché ciò accada è necessaria una formazione adeguata alla nostra condizione di esseri pensanti e capaci di riflessione, viventi su un pianeta con risorse abbondanti ma limitate. Per parte nostra abbiamo individuato in IMC uno dei possibili punti di partenza per una tale formazione e ne abbiamo inseguito le conseguenze per un certo tratto nelle più diverse direzioni, Finora non ci siamo imbattuti in evidenti controindicazioni, il che non esclude naturalmente che ciò possa accadere domani.

Per questa ragione, Signor Ministro, ci rivolgiamo virtualmente a Lei perché prenda in considerazione la possibilità di adeguare una futura ennesima riforma della scuola alle esigenze di una società che abbia voglia di sopravvivere anziché di accapigliarsi su chi ha ragione o torto.
B.


Cantalupo, 12.VII.2009

martedì 21 luglio 2009

Poesia: 'Isolde - Isotta'

E' la volta della poesia Isolde - Isotta. Questo personaggio si trova sempre nell'opera di R. Wagner...ma sentiamo cosa hanno da dirci Boris e Fernando.

lunedì 6 luglio 2009

Poesia: 'Tristan - Tristano'

Eccoci di nuovo con un nuovo inizio di settimana. E come sempre, o quasi, pubblichiamo un video di Boris. Questa volta ci legge una sua poesia: Tristan - Tristano.
Tristano è uno dei protagonisti dell'opera di Richard Wagner Tristan und Isolde. La storia a cui Wagner abbinò la musica risale comunque al medioevo. Il nostro amico Fernando Sanchez ci legge la traduzione italiana mentre Boris recita in tedesco.